Uzbekistan, polemiche al processo per il massacro di Andijan
Per la pubblica accusa i 15 imputati sono terroristi islamici, rivoltosi e colpevoli delle 187 morti ufficiali. Ma gli osservatori internazionali parlano di torture e di una sentenza già decisa.
Tashkent (AsiaNews/Agenzie) Prosegue il processo iniziato ieri 20 settembre nella capitale Tashkent contro i 15 uomini accusati di avere provocato e guidato le proteste di piazza nella città di Andijan. Gli imputati - che si sono dichiarati colpevoli - sono accusati di terrorismo, appartenenza a gruppi islamici proibiti, possesso illegale di armi e di avere ucciso civili, forze dell'ordine e ostaggi.
Le proteste di piazza esplosero lo scorso 12 maggio a sostegno di 23 uomini d'affari della zona, detenuti e processati ad Andijan con l'accusa di appartenere a un gruppo islamico estremista. La folla irruppe nel carcere e li liberò. Ne scaturì una violenta protesta contro il governo che divampò per giorni. Tra gli odierni imputati ci sono 3 di quegli accusati.
Secondo Anvar Nabiyev, il procuratore che cura la pubblica accusa, le proteste furono organizzate al fine di rovesciare il governo e creare uno stato islamico. "Costoro, con il sostegno di forze straniere ha detto Nabiyev - dovevano destabilizzare il Paese e creare uno Stato fantoccio asservito agli interessi stranieri."
L'accusa ritiene che i "sobillatori" hanno ricevuto fondi dall'estero e furono addestrati in Kirghizistan. "Hanno fatto uso prosegue delle cosiddette organizzazioni per i diritti umani e dei media esteri per diffamare l'Uzbekistan e mettere in cattiva luce le attività del governo." Ha aggiunto che gli accusati sono aderenti a 2 organizzazioni estremiste islamiche: il Movimento islamico del Turkestan e il gruppo Akramiya, una branca di Hizb ut-Tahir (movimento islamico che predica uno sceiccato universale).
Durante le manifestazioni di Andijan vi furono numerosi morti: 187 secondo il governo, mentre i gruppi per i diritti umani parlano di diverse centinaia e accusano polizia ed esercito di avere sparato sulla folla disarmata. Islam Karimov, presidente uzbeko, ha sempre sostenuto che la maggior parte dei 187 morti erano militanti, mentre le organizzazioni umanitarie dicono che erano cittadini disarmati che protestavano contro la povertà, la disoccupazione e le persecuzioni religiose e che furono colpiti mentre fuggivano. Vari Stati e le stesse Nazioni Unite avevano chiesto un'investigazione internazionale, rifiutata dal governo uzbeko.
Gli osservatori internazionali definiscono il processo di "stile sovietico". L'organizzazione per i diritti umani Human Rights Watch(Hrw) accusa i servizi di sicurezza di avere estorto false confessioni e testimonianze. Secondo Holly Carter, direttore di Hrw per Europa e Asia centrale, il governo non ha interesse a colpire gli autori dei massacri ma vuole "negare ogni sua responsabilità e ridurre i testimoni al silenzio".
"Il governo dice Maisy Weicherding di Amnesty International (che denuncia migliaia di arresti) vuole impedire che emerga la verità su quanto accadde ad Andijan". "I detenuti corrono un serio pericolo di venire torturati" aggiunge la Weicherding, che teme che dopo questo processo ne seguano altri "con sentenza di morte presa in un processo ingiusto". Surat Ikramov, un attivista uzbeko per i diritti umani, afferma che gli accusati hanno confessato sotto tortura e che molti residenti di Andijan hanno raccontato di essere stati minacciati dalle autorità. "Le autorità spiega Ikramov - hanno bisogno di dimostrare a tutti i costi che si trattò di un attacco terrorista, non di una dimostrazione pacifica." (PB)