Usa e Ue chiedono la fine delle violenze fra buddisti e musulmani birmani
Yangon (AsiaNews/Agenzie) - La comunità internazionale lancia un appello per la fine delle violenze nello Stato birmano Rakhine - ad ovest del Myanmar, lungo il confine col Bangladesh - dove negli ultimi giorni sono morte almeno sette persone e teatro di uno scontro etnico-religioso fra buddisti e musulmani. Washington invoca la calma e una soluzione pacifica della vicenda; il segretario di Stato Hillary Clinton afferma che la situazione "sottolinea l'assoluto bisogno di rispetto reciproco fra tutti i gruppi etnici e religiosi". L'attenzione è rivolta al presidente Thein Sein e all'esercito birmano - che spesso in passato ha represso nel sangue rivolte e tensioni - per capire l'evoluzione degli eventi. Il portavoce di Catherine Ashton, capo della diplomazia dell'Unione europea, si dice certo che "le forze di sicurezza stanno affrontando queste difficili violenze interetniche in un modo appropriato".
Attivisti per i diritti umani e membri della società civile non risparmiano critiche al governo birmano, che ha permesso alle truppe di prendere il controllo della provincia. Essi chiedono che sia concessa la possibilità a giornalisti stranieri, diplomatici e volontari di accedere alle aree interessate dagli scontri. Elaine Pearson, vice-direttore per l'Asia di Human Rights Watch (Hrw) ha confermato che le violenze "stanno sfuggendo di mano, sotto lo sguardo del governo". Anche le Nazioni Unite hanno deciso di trasferire - almeno in via temporanea - gran parte del personale "non essenziale" dalla zona. Oltreconfine, le Guardie di frontiera del Bangladesh hanno rafforzato i controlli e cacciato indietro numerose barche, con a bordo gruppi di rifugiati. Il numero, a seconda delle fonti, varia da 50 a 300. Secondo una lista fornita ieri dal Rakhine Nationalities Development Party, sono circa 12mila gli abitanti alloggiati in centri di emergenza, situati in quattro diverse cittadine dello Stato.
Intanto, in tutto il Myanmar si vanno diffondendo sentimenti anti-musulmani e anti-Rohingya, la minoranza birmana che vive al confine col Bangladesh, spesso vittima in passato di abusi e persecuzioni a sfondo confessionale. Gli attivisti Rohingya hanno più volte rivendicato, senza successo, l'appartenenza al Myanmar e il riconoscimento dei pieni diritti. Sulla rete, invece, blogger birmani e cittadini descrivono i membri della minoranza come "invasori" o "terroristi".
Le violenze nello Stato di Rakhine sono scoppiate circa una settimana, fa quando una donna buddista è stata violentata e uccisa. Una folla inferocita ha accusato alcuni musulmani uccidendone 10 di loro, che viaggiavano su un autobus. La capitale dello Stato di Rakhine, Sittwe, è controllata dalle forze di sicurezza. L'area è uno snodo molto importante per il commercio, perché è il punto di origine di un oleodotto e gasdotto costruito dalla Cina e che porta energia fino allo Yunnan.
Il Myanmar, composto da oltre 135 etnie, ha avuto sempre difficoltà a farle convivere e in passato la giunta militare ha usato il pugno di ferro contro i più riottosi. I musulmani in Myanmar costituiscono circa il 4% su una popolazione di 60 milioni di persone. Secondo l'Onu, nel Paese vi sono 750mila Rohingya, concentrati in maggioranza nello Stato di Rakhine. Un altro milione o più sono dispersi in altre nazioni: Bangladesh, Thailandia, Malaysia. Lo stato di emergenza dichiarato ieri è il primo intervento eccezionale ad opera di Thein Sein, presidente da oltre un anno, che sta traghettando il Paese dalla dittatura militare a una democrazia almeno minima.