Una “chiacchierata” di corridoio per il disgelo tra Cina e Giappone
di Pino Cazzaniga
Definito ufficialmente in tal modo l’incontro tra Naoto Kan e Wen Jiabao che ha posto fine alla disputa sorta in seguito alla vicenda del peschereccio cinese fermato dai giapponesi. In realtà il colloquio è frutto di un’attività politica e diplomatica mirata alla ripresa della “relazione strategica per il mutuo beneficio”.
Tokyo (AsiaNews) – E’ divenuto chiaro il contorno diplomatico dell’ incontro di 25 minuti, apparentemente improvvisato, svoltosi il 4 il ottobre sera tra il primo ministro giapponese Naoto Kan e il premier cinese Wen Jiabao durante il quale hanno convenuto di riprendere il dialogo ad alto livello dopo un’amara disputa, tra le due nazioni, durata quasi un mese.
Il colloquio è avvenuto nel Royal Palace di Bruxelles a margine della conferenza dell’ASEM (Asia-Europe Meeting) e, per desiderio della diplomazia cinese, è stato volutamente chiamato “chiacchierata” (chat), perchè nessuno dei due intendeva dare ad esso qualifica di incontro ufficiale.
Kan, secondo il The Japan Times, ha detto che l’incontro ha avuto luogo spontaneamente quando lui e Wen si sono trovati a camminare fianco a fianco lungo il corridoio del palazzo dove era da poco terminata la conferenza. Linguaggio cifrato pure questo.
Il burrascoso settembre
Probabilmente la conversazione sarà ricordata come un avvenimento singolare dell’ASEM di Bruxelles 2008, perchè ha dato inizio al processo di riparazione di una frattura tra le due potenze del Pacifico causata da una crisi che durava da circa un mese.
I fatti sono noti: l’8 settembre la polizia guardacoste giapponese ha arrestato al largo delle isole Senkaku il comandante di un peschereccio cinese, Zhan Qixion, rilasciato il 25 e rimandato in patria senza essere stato formalmente incriminato. Il ministro degli esteri cinesi, che al tempo dell’arresto del capitano, ne aveva chiesto l’immediato e incondizionato rilascio, a liberazione avvenuta ha chiesto scuse e indennizzo. Kan, che era stato informato del rilascio mentre si trovava a New York per partecipare all’assemblea generale delle Nazioni Unite, ha risposto negativamente, perchè la vicenda era avvenute al largo delle isole Senkaku, sulle quali il Giappone rivendica la sovranità.
Il governo cinese ha ulteriormente reagito in modo duro con una serie di azioni ricattatorie a livello economico e con la sospensione dei rapporti diplomatici di alto livello.
La pesante eredità del passato
Come mai un episodio di per sé non grave ha causato una rottura diplomatica che poteva bloccare e distruggere la relazione strategica a mutuo beneficio tra le due nazioni che con tanta fatica e saggezza si era embrionalmente stabilita? Tentiamo di rispondervi, basandoci su un’analisi del professor Kazuo Ogoura, docente di scienze politiche all’Aoyama Gakuin University di Tokyo.
Secondo Ogoura, la rissa tra il Giappone e la Cina a causa delle isole Senkaku, è territoriale, solo in superficie. In realtà è molto più profonda e vasta. La storia recente e la visione politica dei due popoli, sono diverse. Mentre da parte giapponese la materia è stata trattata nella prospettiva legale, da parte cinese si tende a considerare l’incidente non come materia di procedure legali ma come una provocazione politica da parte dei giapponesi. Secondo lo studioso, in Cina è ancora largamente diffusa l’opinione che il Giappone conserva le sue tendenze militaristiche ed è pronto ad agire aggressivamente quando si presenta l’occasione . Questo significa che molti cinesi, volenti o nolenti, mantengono un’immagine del Giappone basata sulle memorie della guerra.
Lo studioso ritiene che ci sono, almeno, due ragioni che fanno capire il permanere di questa mentalità anti-nipponica. Una è che, fondamentalmente, la legittimità del governo comunista della Cina, come è ricordato anche nell’inno nazionale, è basata sul fatto storico che esso ha liberato la Cina dall’aggressione giapponese e dalle miserie che ne sono derivate.
La seconda ragione per il permanere della visione negativa cinese sul Giappone, risiede nel fatto che le autorità cinesi non sono nella posizione di apprezzare il processo democratico che il Giappone ha perseguito dopo la seconda guerra mondiale, mentre la struttura politica della Cina lascia ancora molto a desiderare per quanto riguarda la democrazia.
Il frutto dell’approccio deciso e perseverante di Kan.
Il premier giapponese avuto la notizia della liberazione del capitano cinese si è subito premurato di assicurare i media che il rilascio non aveva alcuna motivazione politica: i tre poteri istituzionali, in una democrazia, sono indipendenti. Ma per lui il lavoro non era né finito né facilitato perchè la riparazione della frattura con la Cina rimaneva larga. Zhan era stato accolto a Hebei, sua provincia cinese, come un vincitore da funzionari governativi.
A New York, Kan ha tentato un approccio con il premier cinese Wen Jiabao ma inutilmente. E’ dovuto ritornare in fretta a Tokyo per l’apertura di una sessione straordinaria della Dieta (parlamento) che sarebbe durata settimane. Per questo motivo non aveva dato la sua adesione all’assemblea dell’ASEM; ma data la perdurante situazione di rissa con la Cina, il 27 settembre ha deciso di andare a Bruxelles, dove sarebbe stato presente anche Wen. Doveva tentare un nuovo approccio. C’è riuscito grazie al lavoro tanto rapido quanto discreto di alcuni politici del suo partito che sono riusciti a costruire un ponte diplomatico e, a quanto pare, efficace con la Cina.
Il colloquio di 25 minuti con Wen nel corridoio del palazzo dell’ASEM si è reso possibile solo dopo una conversazione telefonica tra il segretario generale del consiglio dei ministri (Cabinet) giapponese Yoshito Sengoku, a Tokyo, e il il vice ministro degli affari esteri cinese Dai Bin Guo, a Pechino. Intuito che anche il governo cinese desiderava la guarigione della frattura, si è cercato un politico giapponese che facesse da ponte tra i due governi e lo si è trovato in Goshi Hosono (39 anni), un deputato del DPJ con relazioni con personaggi cinesi.
Il 27 aprile Hosono è volato a Pechino dove all’aeroporto era ad attenderlo una macchina del Ministero degli esteri cinesi per accompagnarlo alla guesthouse di Diaoyutai. Qui ha avuto discussioni con funzionari del ministero degli esteri cinese per circa 7 ore. Ritornato a Tokyo il 30 settembre ha riferito tutto al primo ministro, che ha potuto partire per Bruxelles con la speranza di incontrare il vertice cinese.
La chiacchierata della speranza.
Ma a Bruxelles il primo ministro giapponese non è andato solo per una “chiacchierata” con il premier cinese . Ma anche per inserire il problema in una cornice internazionale. Infatti lunedì 4 ottobre Kan ha incontrato separatamente i leader dell’Australia, della Francia, della Corea del sud e del Vietnam per ottenere la loro comprensione circa la disputa con la Cina.
Né Kan né Wen hanno accennato al problema delle isole Senkaku nei due discorsi tenuti davanti all’assemblea: evidentemente la conversazione “improvvisata” non era poi così improvvisata. Ma è stata efficace. Circa la sovranità sulle isole Senkaku, i due leader hanno semplicemente ribadito le loro convinzioni. Ma hanno anche convenuto di ritenere “indesiderabile” lo stato di tensione creatasi per l’incidente del peschereccio, e di riprendere il cammino per il consolidamento della “relazione strategica per il mutuo beneficio”.
Una tappa importante del cammino ripreso sarà toccata in novembre quando il presidente cinese Hu Jintao incontrerà il primo ministro giapponese a Yokohama (Giappone) in occasione del summit dell’APEC (Asia Pacific Economic Cooperation)
Vedi anche