Una calma tesa regna a Beirut, la comunità internazionale si schiera con il governo
di paul Dakiki
Sarebbero 18 i morti negli scontri dei due giorni passati. Si riuniscono il Consiglio di sicurezza e la Lega araba. Solo il siriano Assad parla di “questione interna libanese”.
Beirut (AsiaNews) – Una calma carica di tensione regna a Beirut doo che i miliziani di Hezbollah hanno preso il controllo della parte occidentale della capitale, abitata in prevaenza da sunniti. Uomini armati si vedono per le strade. La via per l’aeroporto è ancora bloccata, come numerose altre in tutta la città. Scontri continuano a registrarsi lontano dalla capitale, sia a nord che a sud. Ma qualche fornaio oggi a Beirut ha riaperto.
Ma la vittoria militare sul terreno - costata 18 morti e decine di feriti – sta provocando forti reazioni internazionali. Mentre il presidente siriano, Bashar Assad, sostiene che la questione è “interna” al Libano, domani si riunisce la Lega araba, Washington ha annunciato un ricordo al Consiglio di sicurezza e dalla Ue, oltre che da numerosi governo europei, arrivano dichiarazioni di sostegno al governo di Fouad Siniora. Quest’ultimo, asserragliato nel Serraglio, protetto dall’esercito, afferma che non ritirerà le decisioni che hanno provocato la reazione armata di Hezbollah e di Amal, i due movimenti sciiti apoggiati da Iran e Siria. Si tratta dello smantellamento della rete telefonica illegalmente creta da Hezbollah e della rimozione del responsabile dela sicurezza dell’aeroporto di Beirut che ha permesso al Partito di Dio di istallare telecamere nello scalo, per controllare chi arriva e chi parte.
Un comunicato governativo, letto dal Samir Geeagea, parla di tentato colpo di Stato e afferma che, volgendo le sue armi contro i libanesi, la Resistenza – come ama farsi chiamare Hezbollah – ha perso ogni legittimazione. Particolarmente grave, sul piano politico, è considerata la distruzione delle sedi di televisione, radio e giornale di Saad Hariri, leader della maggioranza parlamentare, oltre che di una sede della Fondazione che porta il nome di Rafic Hariri, il premier ucciso nel 2005. Una manifestazione di protesta si svolge oggi a Bourj al Ghazal.
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