25/10/2008, 00.00
COREA DEL SUD
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Un “missionario della strada” alle porte di Seoul

di Pino Cazzaniga
La vicenda di padre Vincenzo Bordo, che ha creato una casa per barboni e diseredati, ove offre non solo un piatto caldo, ma anche assistenza, e una per i ragazzi di strada. Un nuovo modello di missione per un ambiente asiatico moderno.

Seoul (AsiaNews) - Padre Vincenzo Bordo (51 anni), della congregazione degli Oblati di Maria Immacolata (OMI.) dal 1991 vive in un appartamento a Sung Nam, una città-dormitorio di un milione di abitanti, alle porte di Seoul. Per cinque giorni alla settimana indossa il grembiule da cuoco e passa il tempo a tagliare patate e cipolle e cuocere il riso per preparare un piatto caldo per i “barboni”. Il resto del tempo, tolto quello per la preghiera, lo trascorre lungo le strade o nei mercati rionali. I venditori, che ormai lo conoscono bene, gli fanno buoni sconti e lo chiamano shimbunim, “reverendo padre sacro”, titolo onorifico che i coreani, credenti e non-credenti, usano quando parlano con un prete cattolico.

E’ un “missionario della strada”, non tanto perché ci passa molto tempo, ma perchè da lì vengono i suoi commensali: barboni, alcoolisti, ex-carcerati, anziani poveri, malati mentali, disabili, che non hanno casa, gente di strada, appunto. “Per essi - mi ha detto - abbiamo costruito la ‘Casa di Anna’, dove non si offre solo un pasto, ma anche ambulatorio, assistenza psicologia, consulenza legale e di lavoro, barbiere, distribuzione di vestiti, doccia ecc.”. Oggi la “Casa di Anna” offre ogni sera un piatto caldo a oltre 400 persone. “Nel 2007 le presenze sono state circa 104.000”.

Questo non si sarebbe potuto realizzare senza aiuti economici e di personale, che sono venuti non dalle istituzioni, ma dal volontariato. Ora il missionario dispone di 350 volontari fissi: cattolici poco praticanti, protestanti, buddisti, non credenti che offrono non solo tempo e competenza, ma anche finanze. E così sono sorti altri due centri: la “Casa Bartolomeo” e la “Casa Eugenio” per l’assistenza dei ”ragazzi di strada”. A far conoscere al missionario anche questa piaga sociale sono stati proprio i barboni. I nomi sono quelli dei genitori defunti dei donatori della mensa per gli homeless e della casa-famiglia per giovani lavoratori.

Ma nell’attività di padre Bordo c’è anche una dimensione missiologica. Egli ha contribuito a creare una nuova visione del missionario occidentale in un ambiente asiatico moderno. Arrivati a Seoul nel 1990, il primo impatto con la Chiesa coreana è stato traumatico. “Eravamo stati inviati - ha scritto p. Bordo - a fondare una missione in Corea, ma di fatto ci siamo sentiti ‘rifiutati’ dalla Chiesa locale in quanto in sovrannumero (di personale clericale) e messi da parte dalla società civile, in quanto non più bisognosa del nostro aiuto. Ci siamo resi conto che la visione classica della missione come “plantatio ecclesiae’ (fondazione della Chiesa) e ‘aiuto allo sviluppo dei paesi poveri’ era insufficiente per comprendere la realtà nella quale ci trovavamo a vivere”.

I missionari OMI non si sono scoraggiati. L’iniziativa di aprire una missione in Corea era stata del loro superiore generale monsignor Marcello Zago, già missionario in Tailandia, personalità nel settore del dialogo interreligioso e, in seguito, numero due della Congregazione pontificia per l’evangelizzazione dei popoli. La decisione di Zago, inoltre, rispondeva al desiderio di Giovanni Paolo II che aveva esortato gli istituti missionari a prepararsi per l’evangelizzazione della Cina. La Corea dati i legami storici e culturali, con la grande nazione confinante, sembrava una buona base per preparare personale missionario allo scopo..

Una riflessione teologica li ha aiutati a superare il disagio. Riflettendo sulla ecclesiologia del Concilio, ricorda Vincenzo, “si è rafforzata in noi la convinzione che la Chiesa non è solo struttura gerarchica e sacramentale, ma anche evangelizzazione e comunione di carismi”. “Evangelizzare i poveri” è il carisma che S. Eugenio de Mazenod, fondatore degli OMI, ha messo come fondamento della spiritualità e attività della congregazione. Coniugando questo carisma con la realtà dei nuovi poveri, che sono gli emarginati di Sung Nam e i lavoratori stranieri di Suwon, Vincenzo e compagni hanno dato forma a una nuova figura del missionario “in terra straniera”.

L’irradiazione evangelica della “piccola comunità cristiana” per la gente di strada di Sung Nam è testimoniata, oltre che dall’afflusso di volontari, dai molti riconoscimenti religiosi e civili ottenuti dal suo iniziatore e animatore: cittadinanza onoraria di Seoul, premio per il volontariato della città di Sung Nam, premio di una fondazione buddista, programmi alla televisione protestante, oltre che a quelli messi in onda dalla televisione cattolica, parecchie interviste nei giornali e nelle TV nazionali.

Padre Vincenzo, pur non avendo ambito a premi e riconoscimenti, ne è consolato perché gli sembra questa attività sia diventata come un sacramento, un segno per l’uomo moderno secolarizzato. Dice: “a fianco della missione del terzo mondo, quella dell’Africa, per intenderci, lentamente ne sta sorgendo un’altra dove non si parla di foreste ma di giungle di cemento, non di tumultuosi fiumi da guadare, ma di fiumane di umanità delle metropoli moderne”. Le strade di Sung Nam dove si annidano i nuovi poveri, homeless e ragazzi abbandonati, sono il territorio della sua missione, che ama chiamare “la missione del quarto mondo”.

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