23/11/2006, 00.00
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Un tibetano si dà fuoco, mentre Hu lascia l'India per il Pakistan

Mentre cresce la protesta tibetana, il presidente cinese confessa di non cercare "interessi egoisti" nel rapporto con l'Asia del sud. A un incremento del commercio non corrisponde un'aumentata fiducia reciproca. Il mondo del business sembra apprezzare sempre più l'ambiente dell'India.

Mumbai (AsiaNews) – Un dimostrante tibetano si è dato fuoco davanti all'hotel che ospitava Hu Jintao  a Mumbai, nell'ultimo giorno della visita del presidente cinese in India.

Il dimostrante, di nome Lhakpa, si è versato addosso del kerosene e ha acceso il fuoco sui suoi vestiti,  al grido di "Tibet libero" e "Hu è un assassino". La polizia indiana ha domato le fiamme sul corpo di Lhakpa  che, con delle ustioni alle gambe, è stato portato all'ospedale. Lhakpa era insieme a un gruppo di esuli tibetani che chiedevano il ritiro dell'esercito cinese dal Tibet e accusavano la Cina di fare commercio con l'India a prezzo dei diritti umani.

Al di là di alcuni incidenti provocati da esuli tibetani, la visita di Hu si è svolta all'insegna della tranquillità, o della "tranquillizzazione".

Nei suoi discorsi il presidente Hu ha sottolineato il desiderio di Pechino a costruire rapporti politici basati sulla fiducia, stabilendo un'alleanza strategica che aiuti a fare del 21° secolo il secolo dell'Asia, migliorando i rapporti e gli scambi economici.

Parlando ieri ad un incontro con businessmen, politici e diplomatici egli ha confessato che "la Cina non persegue alcun interesse egoistico nell'Asia del sud ed è pronta a giocare un ruolo costruttivo nel promuovere la pace e lo sviluppo nel subcontinente". Hu ha anche detto che Pechino cerca relazioni armoniose con New Delhi, come amici e non come rivali: "I nostri piani di sviluppo non si escludono reciprocamente… Le nostre economie sono complementari, possiamo costruire una sinergia… per migliorare la competitività internazionale".

A suggellare la nuova partnership, Hu e il primo ministro Manmohan Singh hanno promesso di raddoppiare il loro commercio attuale, fino a 40 miliardi di dollari entro il 2010. Entrambi si sono ripromessi di risolvere al più presto le questioni dei confini (una parte dell'Arunachal Pradesh che la Cina rivendica; una parte della regione tibetana, rivendicata dall'India).

Nella popolazione e nel governo indiano rimane qualche sospetto. Anzitutto sulla politica marittima cinese: Pechino sta costruendo un porto per l'attracco di grosse navi sulla costa arabica del Pakistan; nello stesso tempo sta sviluppando porti per il Bangladesh, lo Sri Lanka e il Myanmar, come parte di una più stretta collaborazione economica e militare fra la Cina e tutti i vicini dell'India.

Un altro elemento di sospetto è il rapporto preferenziale della Cina col Pakistan, dove il presidente cinese si recherà entro stasera. Hu ha detto a Singh che il suo Paese vede con piacere il processo di pace fra Islamabad e New Delhi. Ma durante la sua visita in Pakistan è quasi sicuro che Hu firmerà un accordo di collaborazione e di assistenza per l'industria nucleare pakistana. Giorni fa gli Stati Uniti hanno approvato un accordo simile con l'India.

Pur con qualche similarità, le differenze fra i due Paesi rimangono grandi. Entrambi hanno una popolazione che supera il miliardo; entrambi hanno economie che corrono. Ma la Cina è alfabetizzata al 95% rispetto all'India, al 68%. Le esportazioni indiane sono valutate a 71 miliardi di dollari; quelle della Cina a 713 miliardi di dollari. Come ambiente favorevole agli affari, l'India ha il pregio di un uso diffuso della lingua inglese. Inoltre, l'India è un paese democratico, dove è importante il ruolo della legge; la Cina è una dittatura comunista segnata dalla corruzione dell'oligarchia al potere. Per questo alcune multinazionali stanno ormai deviando verso l'India parte dei loro investimenti (fino al 25-30%) un tempo indirizzati alla Cina.

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