22/04/2025, 11.28
EDITORIALE
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Un missionario di nome Francesco

di Gianni Criveller

L’annuncio del Vangelo è stato la sua grande priorità: ci ha ricordato che la missione ha che fare con la gioia, che i suoi luoghi non sono definiti dalla geografia o dall’appartenenza religiosa delle persone. Con la sua vita e il suo magistero ci ha insegnato che i missionari di Gesù non si chiedono come farsi seguire dagli altri, ma come possono raggiungerli.

Papa Francesco è stato un papa missionario: nei 12 anni del suo pontificato ha visitato ben 66 nazioni del mondo, unitamente a una cinquantina di località in Italia. Un impegno piuttosto oneroso, vista l’età avanzata e la fragilità della sua salute. Le mete del papa descrivono eloquentemente le scelte fondamentali del suo pontificato fin da quando, l’8 luglio 2013, ha visitato l’isola di Lampedusa, dichiarando al mondo la sua marcata attenzione al dramma della migrazione e la sua protesta e dolore di fronte alle stragi nel Mediterraneo.

Il papa ha dialogato con la Cina, raggiungendo uno storico accordo; ha incontrato Putin e il Patriarca di Mosca Kirill. Ma Francesco non ha affatto privilegiato le nazioni al centro delle dinamiche strategiche dell’umanità. Al contrario, ha condotto l’attenzione a Paesi, a comunità ecclesiali, a guerre e conflitti ai margini dei grandi dibattiti e della narrazione dei media. Il papa ha voluto mostrare - riuscendoci - che non ci sono paesi e popoli più o meno importanti, e che la loro dignità non si misura dalla grandezza dei numeri e dell’influenza economica o politica. Il papa è stato a Timor Est, Myanmar, Bangladesh, Singapore, Mongolia, Sri Lanka, Papua Nuova Guinea, Sud Sudan, Mauritius, Repubblica Centrafricana, Repubblica Democratica del Congo e molti altri ancora e, come menzionato sopra, in tanti altre realtà non “interessanti” per chi giudica le vicende del mondo dal punto di vista del potere e dei mercati.

L’annuncio del Vangelo è stato la sua grande priorità: e la missione non si misura in termini di successo mondano, di acquisizione di una maggioranza religiosa, ma di qualità della testimonianza evangelica. Mi sembra che il papa abbia affinato uno sguardo evangelico sulla realtà: la logica delle beatitudini rovescia e sovverte quella mondana.

Il papa ha spesso criticato il proselitismo, un cattivo sub-prodotto dell’attività missionaria, che conta su mezzi e persuasioni umane per convincere altri a entrare nel nostro gruppo. In nessun modo il papa ha inteso sminuire la validità del mandato missionario, come qualcuno ha voluto intendere. Al contrario la missione non è opera umana, e Francesco l’ha ripensata dalla sua origine: essa viene da Dio e il protagonista è lo Spirito di Gesù. È importante questa acquisizione, perché per lungo tempo la missione si è nutrita di un pensiero teologico mondano e inadeguato, godendo con soddisfazione di successi contabili e gratificanti. Quanto erano davvero evangeliche le conquiste religiose ottenute da posizioni di potere e di superiorità, con strategie di espansione coloniale? La logica del Vangelo confida invece nel significato delle cose piccole, fragili e nascoste, perché è così che si manifesta la grazia di Gesù.

Al contrario del proselitismo, ha ribadito Francesco, la missione si propaga per attrazione. Ovvero è Gesù che attrae a sé ed è la genuina testimonianza evangelica dei suoi discepoli che attrae le persone.

Se la missione è dono di Dio, se è l’ossigeno della vita cristiana, anche il suo contenuto è, nell’insegnamento di Francesco, profondamente rinnovato. La missione ha a che fare con la gioia, è una buona notizia che porta felicità e bellezza. La gioia del Vangelo è il titolo della sua prima esortazione apostolica, programma e magna charta del suo pontificato. Il vangelo è qualcosa di bello e porta felicità nella vita delle persone. Le comunità cristiane e i discepoli che esibiscono tristezza, delusione, scoraggiamento e noia non potranno mai attrarre qualcuno a Gesù. La predicazione del Vangelo non può alimentarsi dell’opposizione ad altre fedi, della paura di Dio e degli altri, o appoggiarsi su dottrine che minacciano il castigo, alimentando sensi di colpa, frustrazioni e voglia di ribellarsi. Bisogna essere felici di essere discepoli di Gesù e missionari del suo Vangelo! Il papa ha fatto ripartire la vita cristiana e la missione dal tema della gioia, il sentimento annunciato nella notte di Natale e nella mattina di Pasqua.

Insieme all‘origine e al contenuto, il papa ha mostrato che i luoghi della missione non sono definiti dalla geografia o dall’appartenenza religiosa delle persone. I nuovi luoghi sono stati descritti con immagini efficaci e eloquenti: “Chiesa in uscita”, “ospedale da campo”, “periferie”... Se ho ben compreso papa Francesco, la missione non è tanto portare più persone in chiesa, quanto spingere le persone di Chiesa verso i luoghi dove si incontrano le donne e gli uomini d’oggi, donando loro solidarietà, soccorso e cura. I missionari di Gesù non si chiedono come farsi seguire dagli altri, ma come possono raggiungerli. L’immagine dell’ospedale da campo colpisce particolarmente in questo periodo pieno di guerre, di feriti e ferite da curare: la missione raggiunge le tragedie degli uomini e delle donne del nostro tempo. È lì che i discepoli missionari realizzano il Vangelo della pace e della libertà, della misericordia e della cura, a imitazione di Gesù, il buon samaritano.

La sera in cui si è presentato al mondo papa Francesco ha descritto il Paese da cui proveniva, l’Argentina, come collocato "quasi alla fine del mondo". Ma egli stesso ci ha mostrato nessun Paese è alla fine del mondo. Per coloro che guardano all’umanità con lo stesso sguardo di Gesù, nessun luogo e nessuna persona sono troppo lontani.

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