Un incontro all’Onu su tolleranza e pace, tra politica e religioni
Alll’incontro prendono parte rappresentanti di un’ottantina di Paesi. Per la prima volta un presidente israeliano si rivolge ad un re saudita. Ma c’è chi critica l’iniziativa come tentativo di Riyadh di essere unico riferimento nel dialogo con il cristianesimo.
New York (AsiaNews/Agenzie) – Tolleranza, ruolo che le religioni possono svolgere per un mondo riconciliato e ricerca di dialogo per la pace tra arabi e israeliani. Sono le linee sulle quali da ieri, ha preso il via in ambito Onu una riunone che ha visto prendere la parola una ottantina di rappresentanti di Paesi di tutto il mondo:
A suscitare particolare interesse è l’aspetto politico dell’appuntamento che ha raccolto la partecipazione di alcuni grandi nomi dello scacchiere internazionale. Al Palazzo di vetro sono arrivate personalità come i presidenti d’Israele, Shimon Perez, Libano, Michel Suleiman, Afghanistan, Hamid Karzai, e Pakistan, Asif Ali Zardari. Con loro anche il primo ministro britannico, Gordon Brown, la presidentessa filippina, Gloria Macapagal-Arroyo, il segretario di Stato americano Condoleezza Rice, e oggi anche il presidente uscente degli Usa, George W. Bush.
A capi di Stato e primi ministri si sono aggiunti poi anche i rappresentanti del mondo religioso, tra cui il cardinale Jean-Louis Tauran, presidente del Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso, e l’imam Mohammad Saed Tantawy, leader spirituale dell’islam sunnita e guida dell’università egiziana di Al-Azhar. La loro partecipazione ha segnato il legame tra l’evento di New York e i due appuntamenti interreligiosi della Mecca e Madrid promossi da re Abdullah nel giugno e luglio di quest’anno.
La stampa araba ed israeliana oggi sottolinea come, nell’occasione, per la prima volta un capo di Stato di Israele, Peres, si sia rivolto direttamente ad un re saudita, Abdullah, per lodarne l’iniziativa a favore della pace in Medio Oriente. Niente di più. Non ci sono stati colloqui privati ed alla cena d’onore i due erano seduti a tavoli diversi e lontani. Ma lo stesso Peres, che era accompagnato dal ministro degli esteri, e leader di Kadina, Tzipi Livni, ha parlato di una “aria nuova” tra arabi ed israeliani. “Oggi - ha commentato - abbiamo mostrato la volontà, ora dobbiamo trovare il modo”.
Certo, non sono mancate voci stridenti, come una frase del premier palestinese Salam Fayyad che, parlando di Gerusalemme, l’ha descritta come “il terzo luogo più sacro per l’islam, dove Maometto è asceso al cielo e dove Gesù, il cristiano, è risorto”, senza neppure nominare gli ebrei.
Nel suo discorso di apertura il segretario dell’Onu ha fatto riferimento in modo particolare al documento firmato da diversi leader religiosi musulmani, cristiani ed ebrei nella capitale spagnola. Ban Ki-moon ha elogiato l’iniziativa del re saudita come tentativo di costruire ponti tra culture e religioni in un epoca in cui l’acuirsi delle differenze lascia sempre più spazio alle derive estremistiche e violente. “Terrorismo e criminalità - ha affermato il sovrano saudita - sono i nemici di ogni religione e di ogni civilizzazione. Essi non possono emergere se non grazie all’assenza del principio di tolleranza”.
Il tema della libertà di religione è stato evocato dall’ex premier francese Alain Juppé, che ha chiesto di riconoscere “totale libertà di religione in tutti i suoi aspetti”. “La libertà di religione – ha aggiunto – non puà essere realizzata senza libertà di paola, anche se a volte è usata per esprimere derisione”.
Di “interesse comune” per il dialogo fra fedi diverse ha parlato il presidente libanese Suleiman che ha sottolineato “l’inquietudine suscitata da fenomeni di violenza confessionale ed etnica”.
Di risvolto politico l’intervento della presidentessa filippina. Gloria Macapagal-Arroyo ha citato l’esempio della risoluzione congiunta Pakistan-Indonesia-Filippine per la promozione del dialogo interreligioso e interculturale. Riferendosi allo scontro in corso nel Mindanao tra forze governative e ribelli islamici, la Arroyo ha minimizzato la situazione affermando che il Paese sta lavorando “per raggiungere i maggiori progressi possibili sulla pace entro i parametri di un autentico dialogo religioso tra le comunità”.
L’incontro di New York ha suscitato però anche polemiche da parte di associazioni per la difesa dei diritti umani e la libertà religiosa. Il regime wahabita di Riyadh, ultraconservatore e chiuso ad ogni confessione non musulmana, malgrado i tentativi di riforma dell’attuale monarca, è accusato di sponsorizzare questi incontri di dialogo interreligioso per promuovere un’immagine internazionale dell’Arabia saudita lontana dalla vera realtà del Paese. Alcuni esperti impegnati nel dialogo tra cristianesimo ed islam fanno notare che queste iniziative nascondono anche il tentativo del re Abdallah di assurgere ad unico riferimento nel dialogo con il cristianesimo. La casa regnante saudita non vede di buon occhio l’attenzione suscitata dalla lettera dei 138 intellettuali musulmani che ha dato origine al forum islamo-cattolico da poco conclusosi in Vaticano. Summit come quelli della Mecca, di Madrid e New York servirebbero a Riyadh per recuperare la leadership tra i fedeli del Profeta a discapito delle voci non wahabite che sino ad oggi hanno dato segni di maggior disponibilità nel dialogare con la Santa Sede e con i leader cristiani.
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