Un dialogo con i talebani mette a rischio i diritti delle donne
Kabul (AsiaNews) – “L’evoluzione di questo Paese è in mano alle donne. Sotto i talebani, le donne non potevano nemmeno frequentare la scuola, erano costrette a stare a casa e a subire matrimoni forzati. La condizione delle donne sarà forse il principale banco di prova del dialogo che il presidente Usa vuole intavolare con i talebani moderati”. E’ uno dei commenti che AsiaNews ha raccolto in Afghanistan dopo la proposta del presidente Usa Barack Obama di aprire un dialogo con i talebani moderati.
Il 7 marzo, Obama ha detto che gli Stati Uniti non possono vincere la guerra in Afghanistan contro gli estremisti islamici e ha annunciato la volontà di “esplorare” la possibilità di un dialogo con i talebani moderati, per dividerli dai gruppi fondamentalisti come al Qaeda.
Il presidente afghano Hamid Karzai ha commentato la notizia con grande favore e ha detto che il dialogo potrà anzitutto rivolgersi ai “molti che hanno paura a tornare nel loro Paese e credono di non avere altra scelta che stare con al Qaeda”.
Ma ambienti locali sono perplessi e si chiedono anzitutto: chi sono i talebani moderati e cosa hanno fatto durante il regime talebano. Un esperto commenta che “qualche mese fa leader talebani, ritenuti moderati, hanno indicato i 3 punti per loro irrinunciabili: che vadano via tutti i soldati di altri Paesi; che non ci siano ingerenze estere nella politica afgana; che sia applicata la sharia (legge islamica). Con l’eccezione dell’opposizione armata, sono le stesse cose che vogliono i talebani integralisti. Certo, il dialogo è sempre positivo, la pace può essere raggiunta solo attraverso il dialogo. Ma il punto è come sia realizzabile questo dialogo. Se domani i talebani moderati tornano a imporre la sharia, già applicata durante il loro regime, ho paura che riprenda il calvario delle donne afghane”.
Proprio ieri il presidente Karzai, in occasione della Giornata mondiale della donna, ha denunciato che molti nel Paese ancora considerano le donne come “una proprietà” e che “i matrimoni forzati, la vendita delle donne, sono contro l’Islam”.
Il 7 marzo la vedova Jan Bibi si è data fuoco ed è morta, nel distretto di Obe (Afghanistan occidentale), per fuggire a una vita di stenti. Bibi, in quanto vedova, era una paria della società, indesiderabile per un matrimonio e senza opportunità di lavoro. Nella zona sono frequenti i suicidi di donne per evitare abusi e matrimoni forzati. Un recente rapporto Onu dice che nel Paese “c’è stato un drammatico aumento di minacce e intimidazioni contro le donne nella vita pubblica o che lavorano fuori casa”.
Con un nuovo regime talebano il timore che si possa “tornare indietro” è molto diffuso. Analisti osservano che gli unici frutti di questa lunga guerra e dei suoi immensi costi di vite umane e denaro sono forse soltanto la miglior condizione della donna e la democrazia. Ma la democrazia è ancora debole, al punto che Karzai ha rinviato ad agosto le elezioni fissate per aprile per la difficile situazione.
L’idea del dialogo non è nuova, Karzai l’ha lanciata più volte. Ma il problema è anche se Karzai e i poteri democratici del Paese siano in grado di opporsi ai talebani.
Molti osservano che “se l’esercito Usa non può vincere contro i talebani, come può farlo quello afghano? Non può essere preparato come quello Usa, anche se sono stati spesi miliardi per riorganizzarlo. E la polizia è ancora piagata da una diffusa corruzione. E’ dubbio che il tempo sia maturo per affidare il Paese a forze autoctone”. Del resto, nonostante i grandi mezzi impegnati dagli Usa e da altri Paesi, ancora oggi Karzai controlla solo Kabul e la zona circostante.
Altri commenti sono più ottimisti e dicono che occorre “coinvolgere l’Iran nel processo di pacificazione. Potrebbe avere un ruolo importante. Ora è stato invitato a partecipare alla Conferenza di giugno a Trieste per discutere della situazione afghana. Sarà importante vedere se accetta”.