Ultimo giorno di Ramadan, musulmani e cristiani devono cercare il dialogo
di Nirmala Carvalho
Per p. Victor Edwin, studioso di rapporti tra islam e cristianesimo, la forza dei musulmani ad affrontare il digiuno, sfidando il caldo torrido e l’umidità, mostra “un profondo senso di Dio”. In India, le due comunità devono imparare a lavorare insieme per difendere il Paese, prendendo esempio dalle rivoluzioni della “primavera araba”.
New Delhi (AsiaNews) – “Gratitudine è il termine appropriato per definire la mente e il cuore di un musulmano a digiuno”. Parla così il gesuita p. Victor Edwin, dottorando in Relazioni cristiano-musulmane all’università Jamia Millia di New Delhi, a proposito della conclusione (Eid), oggi, del Ramadan, il mese sacro del digiuno. Secondo il gesuita, è ancora più urgente che cristiani e musulmani ritrovino un dialogo, soprattutto alla luce della “primavera araba”.
“D’estate in India – spiega p. Edwin – stare senza mangiare e bere dall’alba al tramonto non è un compito facile: il caldo torrido e l’umidità soffocante provano lo spirito e il corpo di questi uomini e queste donne. Eppure, essi rimangono forti nella loro volontà di fare ciò che Dio comanda nel Corano. Attendono con pazienza l’iftar, il pasto comune che rompe il digiuno, e pregando in silenzio davanti al cibo sono grati a Dio per il mese di Ramadan”.
Per il gesuita, direttore della rivista di studi islamici “Salaam”, ciò che colpisce nel vederli nella preghiera (salat), spalla contro spalla, è “il sentire un profondo senso di Dio. Giovanni Paolo II, nell’invitare le persone di diverse religioni a riunirsi nella preghiera, aveva difeso la sua proposta dalle critiche dicendo ‘tutto ciò che ci unisce è divino, tutto ciò che ci divide non lo è’”.
Anche per l’India, dove musulmani e cristiani rappresentano una minoranza rispetto agli indù, P. Edwin sottolinea le reciproche difficoltà di rapporto: “Il problema di molti cristiani è che essi si limitano a prendere per buona l’immagine che i media danno dell’islam e dei musulmani. Non sentono il bisogno di scoprire l’altro. Allo stesso modo, molti musulmani tendono ad associare i cristiani con l’occidente, senza pensare in maniera critica alla loro situazione (come quella dei cristiani in India, ndr)”. Invece, anche a proposito del dibattito sulla lotta alla corruzione che negli ultimi mesi sta infiammando il Paese, “cristiani e musulmani devono lavorare insieme, per proteggere la Costituzione della nostra nazione. Abbiamo un buon modello – prosegue – e va difeso. Cristiani e musulmani in piazza Tahrir hanno dimostrato che lo stare insieme è importante per salvare la loro nazione dall’anarchia e dalla dittatura”.
Per p. Edwin è da seguire l’esempio della “primavera araba”: “Rispetto a quanto accaduto in alcuni Paesi arabi, ciò di cui siamo testimoni è il risvegliarsi di un intero popolo, che sta cercando di affermare dignità umana e libertà personale. Soprattutto, le persone vogliono riscoprire il loro senso di appartenenza alla più ampia comunità umana: per recuperare la loro identità, esercitare pieni diritti e vivere una vita più umana”.
“D’estate in India – spiega p. Edwin – stare senza mangiare e bere dall’alba al tramonto non è un compito facile: il caldo torrido e l’umidità soffocante provano lo spirito e il corpo di questi uomini e queste donne. Eppure, essi rimangono forti nella loro volontà di fare ciò che Dio comanda nel Corano. Attendono con pazienza l’iftar, il pasto comune che rompe il digiuno, e pregando in silenzio davanti al cibo sono grati a Dio per il mese di Ramadan”.
Per il gesuita, direttore della rivista di studi islamici “Salaam”, ciò che colpisce nel vederli nella preghiera (salat), spalla contro spalla, è “il sentire un profondo senso di Dio. Giovanni Paolo II, nell’invitare le persone di diverse religioni a riunirsi nella preghiera, aveva difeso la sua proposta dalle critiche dicendo ‘tutto ciò che ci unisce è divino, tutto ciò che ci divide non lo è’”.
Anche per l’India, dove musulmani e cristiani rappresentano una minoranza rispetto agli indù, P. Edwin sottolinea le reciproche difficoltà di rapporto: “Il problema di molti cristiani è che essi si limitano a prendere per buona l’immagine che i media danno dell’islam e dei musulmani. Non sentono il bisogno di scoprire l’altro. Allo stesso modo, molti musulmani tendono ad associare i cristiani con l’occidente, senza pensare in maniera critica alla loro situazione (come quella dei cristiani in India, ndr)”. Invece, anche a proposito del dibattito sulla lotta alla corruzione che negli ultimi mesi sta infiammando il Paese, “cristiani e musulmani devono lavorare insieme, per proteggere la Costituzione della nostra nazione. Abbiamo un buon modello – prosegue – e va difeso. Cristiani e musulmani in piazza Tahrir hanno dimostrato che lo stare insieme è importante per salvare la loro nazione dall’anarchia e dalla dittatura”.
Per p. Edwin è da seguire l’esempio della “primavera araba”: “Rispetto a quanto accaduto in alcuni Paesi arabi, ciò di cui siamo testimoni è il risvegliarsi di un intero popolo, che sta cercando di affermare dignità umana e libertà personale. Soprattutto, le persone vogliono riscoprire il loro senso di appartenenza alla più ampia comunità umana: per recuperare la loro identità, esercitare pieni diritti e vivere una vita più umana”.
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