Ultima udienza del processo contro Aung San Suu Kyi
La condanna della leader democratica è data per scontata: rischia dai tre ai cinque anni di prigione. Anche Singapore si aggiunge alla lista dei Paesi che chiedono alla giunta militare di non usare il processo per escludere la Suu Kyi dalle elezioni previste per l’anno prossimo.
Yangon (AsiaNews/Agenzie) – Si svolge oggi l’udienza finale del processo contro Aung San Suu Kyi ed i più danno per scontata la condanna della leader democratica. Alle proteste dei Paesi occidentali contro la giunta militare, fin qui inutili, si è aggiunto intanto l’inaspettato appello di Singapore di solito accondiscendente con i militari al potere a Yangon .
Goh Chok Tong, ex primo ministro della città-Stato, ha invitato il governo del Myanmar a non usare il processo per escludere la leader della Lega Nazionale per la Democrazia dalle elezioni previste per l’anno prossimo. “Se Aung San Suu Kyi non parteciperà alla campagna elettorale per il suo partito - ha affermato Tong - , si potrà dedurre che chiunque vincesse non sarebbe legittimato a governare perché il principale partito di opposizione non ha potuto fare campagna elettorale con il suo leader”.
Nella prigione di massima sicurezza di Insein, a Yangon, gli avvocati leggeranno le arringhe conclusive dei tre coimputati: i due domestici del premio Nobel per la pace ed il cittadino americano John Yettaw. Quest’ultimo a maggio è stato ospitato nella casa della Suu Kyi ed è all’origine del procedimento in corso in cui la leader della Lega Nazionale per la Democrazia è accusata di aver violato le condizioni degli arresti domiciliari, a cui era sottoposta dal 2003.
Nyan Win, avvocato difensore della “Signora”, aspetta il verdetto entro due o tre settimane, mentre alcuni funzionari del tribunale affermano che il processo potrebbe concludersi già oggi.
Aung San Suu Kyi rischia dai tre ai cinque anni di carcere che le costerebbero un prolungamento della prigionia, che dura ormai da 20 anni, e l’esclusione dalle elezioni del 2010, le prime celebrate nel Paese dal 1990, anno in cui la Lega Nazionale per la Democrazia ottenne una palese vittoria, che i generali al potere non hanno mai riconosciuto e costò il carcere alla Suu Kyi.
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