Tutta la Cina ricorda i morti del Qinghai. Proibito il soccorso dei monaci tibetani
Tre minuti di silenzio a Jiegu, vicino all’epicentro del terremoto. Silenzio anche a una riunione del Politburo. Il bilancio dei morti è giunto a 2064. Monaci tibetani dal Sichuan allontanati dalle operazioni di soccorso. Aiuti da monasteri tibetani distribuiti solo attraverso i canali ufficiali.
Jiegu (AsiaNews/Agenzie) – In tutta la Cina si celebra oggi una giornata di lutto per le vittime del terremoto nel Qinghai. Bandiere sventolano a mezz’asta davanti a tutti gli edifici pubblici; incontri di svago e trasmissioni leggere sono bandite.
Nella capitale, un incontro del Comitato permanente del Politburo, con i vertici del Partito e dello Stato, è iniziato con minuti di silenzio.
Stamane, nella piazza principale di Jiegu, vicino all’epicentro del terremoto, almeno mille persone vestite a lutto si sono radunate alle 10 per l’alza bandiera e per l’inno nazionale. Anche le squadre di soccorritori si sono fermati per tre minuti di silenzio. Un lungo striscione accampato davanti alla sede del comune porta la scritta “In memoria dei nostri compatrioti uccisi nel terremoto di Yushu”.
Il sisma che ha colpito il 14 aprile scorso la regione dell’altopiano tibetano ha distrutto per quasi l’80% le povere costruzioni di fango, legno e mattoni. Secondo Xinhua, fino a ieri sera il bilancio era di 2064 morti e di 12135 feriti. Almeno 195 persone sono disperse.
Il lavoro per il recupero dei corpi sotto le macerie continua; monaci tibetani hanno finora lavorato fianco a fianco della squadre di soccorso. La prefettura di Yushu, colpita dal sisma, ha una popolazione costituita al 97% di etnia tibetana. Ma il desiderio espresso dal Dalai Lama, il leader in esilio, di poter visitare l’area, ha subito irrigidito la leadership e le autorità locali.
Due giorni fa, Jia Qinglin ha avvertito che “forze ostili dall’estero stanno lavorando per creare divisione e sabotaggio” dopo il terremoto. Egli non ha citato in modo esplicito il Dalai Lama, anche se Pechino attribuisce di continuo al leader tibetano di voler “dividere la nazione” e di “fomentare il terrorismo”.
Molti monaci giunti a Yushu per aiutare nei soccorsi hanno ricevuto l’ordine di lasciare la zona. Secondo testimonianze locali, l’ordine sembra colpire soprattutto i monaci che provengono dalla prefettura di Ganzi (Sichuan). I monaci di Yushu sembrano poter continuare a offrire la loro opera.
Nei giorni scorsi, i monaci del Sichuan hanno dichiarato di voler vederci chiaro nelle cifre sui morti che vengono diffuse dal governo. Essi pensano che il numero delle vittime sia molto maggiore.
Un monaco citato da Radio Free Asia afferma che “il governo diffonde sempre cifre in difetto. Un mio amico ha detto che solo alcuni giorni fa sono stati cremati almeno 2 mila corpi. Alcuni pensano che il bilancio dei morti potrebbe essere di 8-9 mila”.
Alcuni monasteri a Lhasa e a Nagchu hanno raccolto aiuti i cibo e denaro, ma le autorità hanno proibito la distribuzione diretta e esigono che tutti gli aiuti vengano distribuiti attraverso canali ufficiali.
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