Turkmenistan, un altro Testimone di Geova incarcerato perché obiettore di coscienza
Ashgabat (AsiaNews/Forum18) - Il 26enne Atamurat Suvkhanov è il nono Testimone di Geova punito con la reclusione in seguito al rifiuto di prestare servizio militare. Dall'inizio del 2012 episodi di questo tipo ai danni della comunità religiosa si sono intensificati in modo evidente, con 9 membri incarcerati e altri 4 in attesa di giudizio.
La Costituzione turkmena definisce il servizio militare come "dovere sacro" e non prevede alcun programma sociale sostitutivo per coloro che, per ragioni politiche o religiose, si rifiutano di prendervi parte. Nonostante l'articolo 18 della legge religiosa garantisca il diritto di obiezione di coscienza, ogni turkmeno tra i diciotto e i ventisette anni deve prestare servizio nell'esercito per almeno due anni, pena la reclusione fino a diciotto mesi.
Suvkhanov era già stato in carcere per lo stesso reato dal dicembre 2004 all'aprile 2005, con una condanna a 9 mesi in seguito ridotti a 6. Nel dicembre 2012, pochi mesi prima di raggiungere i ventisette anni che lo esonererebbero dal servizio, il giovane è stato di nuovo condannato a un anno di reclusione.
Nelle settimane precedenti alla seconda condanna, Suvkhanov è stato ricoverato nell'ospedale di Doshoguz per problemi al fegato e al cuore. Il giovane ha poi inviato le proprie cartelle cliniche sia all'ufficio della Difesa sia all'Ufficio militare regionale, sperando che le precarie condizioni di salute giustificassero la sua non partecipazione. Nessuna delle due istituzioni ha però accettato di concedere al giovane l'inabilità, rifiutandosi anche di fornire motivazioni all'organizzazione norvegese per i diritti umani Forum18.
Fonti interne alla comunità dei Testimoni di Geova turkmena sostengono che "dal comportamento verso Atamurat, è ovvio che lo stiano mettendo sotto forte pressione in prigione". I membri del gruppo leggono in tali atteggiamenti governativi una reazione diretta agli appelli all'intervento delle Nazioni Unite. Dall'inizio del 2012, infatti, quando gli arresti dei giovani obiettori di coscienza si sono intensificati, alcuni membri della comunità religiosa si sono rivolti al comitato per i Diritti umani. La denuncia aveva come oggetto il maltrattamento dei detenuti in carcere e nel campo di lavoro di Seydi, oltre al rigido controllo operato dalla polizia sulle famiglie dei detenuti.