Turismo e affari: il settore alberghiero cinese ai livelli pre-pandemia
L’impennata nella domanda traina l’aumento dei tassi di occupazione e delle tariffe delle camere. La percentuale di hotel di fascia media e di prima qualità, che sono fra i più redditizi, registrano ulteriori crescite. Migliora la situazione delle realtà più economiche, che hanno subito le perdite maggiori al tempo del Covid-19.
Pechino (AsiaNews) - Dopo un triennio di crisi, il settore alberghiero cinese registra segnali di ripresa costante negli ultimi mesi, grazie al boom delle prenotazioni post-pandemia legato ai viaggi di piacere e al turismo, che traina le prenotazioni e ha fatto aumentare le tariffe medie delle camere. Secondo i dati elaborati dagli esperti di JLL, una società di servizi immobiliari, il tasso di occupazione su scala nazionale ha raggiunto il 68,4% nei primi nove mesi del 2023, solo il 2% in meno rispetto ai livelli del 2019.
Secondo un rapporto pubblicato il 19 ottobre da STR, fornitore di analisi alberghiere, il tasso di occupazione ha raggiunto il record dell’83,1% il 2 ottobre, durante gli otto giorni di vacanza della “Settimana d'oro”. Il dato maggiore relativo alla crescita proviene da città di secondo piano, non dalle grandi metropoli, che hanno registrato un notevole afflusso di turisti interni e locali.
“L’impennata dell’occupazione” spiega in una nota Flora Zhu, direttore della China Corporate Research di Fitch Ratings, è legata all’aumento “di domanda per i viaggi di piacere” i quali hanno registrato una “ripresa decisa dopo la pandemia” di Covid-19 che ha bloccato per due anni il Paese. “Vi è stato - prosegue - anche un aumento dei viaggi d’affari subito dopo il Capodanno cinese, ma si è gradualmente ridotto a causa del rallentamento dell‘economia, che ha spinto le aziende a tagliare i budget per i viaggi d’affari”. Nel frattempo i dati di JLL mostrano che la tariffa media giornaliera (Adr), che misura i ricavi delle camere occupate, è salita a 975,1 yuan (133,3 dollari) nei primi nove mesi del 2023, con un aumento del 6,4% rispetto ai livelli del 2019.
Il miglioramento del tasso di occupazione e della tariffa media giornaliera ha fatto crescere, di riflesso, i ricavi per camera disponibile (RevPAR) degli hotel di tutto il Paese di un 4,3%, assestandosi a 640,4 yuan nei primi nove mesi, rispetto ai livelli del 2019. Il RevPAR è pari all’Adr moltiplicato per il tasso di occupazione. L’impennata dei prezzi è il risultato di uno squilibrio tra domanda e offerta: nel gennaio 2023, gli hotel cinesi hanno registrato un totale di quasi 14,3 milioni di camere, segnando un calo di quasi il 20% rispetto ai livelli del 2020 secondo i dati della China Hotel Association.
La maggior parte degli hotel chiusi in questo periodo erano alberghi economici e di basso livello, che è anche il settore più colpito dalle chiusure legate alla pandemia. Quando la Cina ha eliminato le restrizioni cancellando la draconiana politica “zero-Covid” a colpi di lockdown e tamponi, liberando la domanda di viaggio repressa, gli hotel di fascia economica hanno registrato una significativa impennata dei prezzi. Ciononostante, i tassi di occupazione non sono ancora tornati ai livelli precedenti la pandemia.
Nel frattempo, le catene alberghiere di fascia media e di primo livello, grazie all’influenza del loro marchio e alle loro economie di scala, hanno resistito durante la fase di chiusure e gli aumenti di prezzi sono stati inferiori a quelli degli hotel economici. Del resto le catene alberghiere di medio e alto livello sono le più redditizie e il loro numero è in costante aumento negli ultimi anni con una crescita a dicembre 2022 rispettivamente del 26,3 e del 9,2% rispetto al 2019. Nonostante lo spostamento verso catene di fascia alta, gli hotel cinesi sono ancora piuttosto convenienti dal punto di vista dell’Adr rispetto ad altri mercati dell’Asia-Pacifico come il Giappone, la Corea del Sud e Singapore, che hanno registrato del 30/40% tra settembre 2019 e il 2023.
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