Turchia: il dramma dei sopravvissuti al sisma. Polemiche sui soccorsi
di Geries Othman
Mancano cibo e acqua potabile, e le condizioni di vita degli scampati al terremoto sono durissime. L’inverno è arrivato nella zona colpita, nel sud est del Paese, e molti sono costretti a dormire all’aperto. “Qui si stanno ammalando tutti. Abbiamo aspettato in coda quattro giorni e ancora nulla. Quando è arrivato il nostro turno ci hanno detto che era tutto finito” racconta una donna.
Istanbul (AsiaNews) - Il bilancio delle vittime del terremoto che ha colpito domenica scorsa, 23 ottobre, la città di Van, nell’est della Turchia è salito a 570 morti, 2555 feriti, mentre sono state estratte vive dalle macerie187 persone, tra cui un ragazzino di 13 anni, rimasto sepolto vivo per 108 ore e salvato questa notte dalle squadre di soccorso che continuano a lavorare, nonostante la pioggia e la neve che da giorni rendono difficili le operazioni e ostacolano l’uso di equipaggiamenti elettrici.
A Van, il capoluogo dell’omonima provincia a 1.750 metri di altitudine, e a Ercis, la città più colpita, oltre che nei villaggi circostanti, il freddo e il gelo aumentano le difficoltà anche per le migliaia di sfollati, rimasti senza casa dopo il crollo di oltre 2.200 edifici nel sisma. Nella catastrofe sono state coinvolte 700mila persone in tutta la regione di Van.
Dopo che la Turchia ha finalmente deciso di accettare il sostegno offerto da una trentina di Paesi, le Nazioni Unite hanno inviato migliaia di tende agli sfollati e anche la Russia ha inviato 37 tonnellate di aiuti umanitari. Anche Israele si è fatto avanti nonostante la grave crisi diplomatica in atto, dopo che a settembre Ankara aveva espulso l’ambasciatore dello stato ebraico, visto il rifiuto di quest’ultimo di presentare le sue scuse ufficiali per l’uccisione, a maggio 2010, di nove cittadini turchi a bordo della nave umanitaria Mavi Marmara in rotta per Gaza, da parte della marina d’Israele.
L'arrivo di un aereo israeliano che trasportava cinque case prefabbricate si spera sia un segnale positivo nelle relazioni tra i due governi. “Altri tre aerei carichi di aiuti arriveranno in Turchia nei prossimi due giorni”, ha reso noto una fonte all'ambasciata israeliana ad Ankara. Ma lo Stato ebraico non è il solo “antagonista” a tendere la mano: dall'Armenia è in partenza un aereo cargo con 40 tonnellate di aiuti, comprese tende e coperte, altro segno di speranza nelle relazioni tra Ankara e Yerevan, interrotte da anni a causa del rifiuto turco di riconoscere il genocidio armeno e i due vicini mantengono i confini sigillati.
Nella zona colpita dal terremoto già lavora anche un team di 150 persone arrivato dall'Azerbaigian, il primo gruppo di operatori stranieri giunto nella regione. Infine il re Abdullah bin Abdülaziz dell’Arabia Saudita ha promesso 50 milioni di dollari. Anche all’interno della Turchia c’è una grande mobilitazione di raccolta di indumenti invernali, biancheria intima, pannolini, alimenti per l'infanzia, materassi, coperte, prodotti per la pulizia, farina, riscaldamento, abiti, coperte e cibo, sia da parte di associazioni locali che della Caritas nazionale.
Oltre al freddo, infatti, l'emergenza è per la mancanza di cibo e acqua, che ha già provocato i primi casi di dissenteria e malattie respiratorie. Ma nonostante il massiccio invio di aiuti umanitari in tutta la provincia turca, a fare da padrone a Van sono ancora le polemiche per il ritardo nella distribuzione degli aiuti.
I sopravvissuti al terremoto, infatti, sono ancora alla ricerca disperata di tende e generi alimentari, mentre si teme che la gente possa morire a causa delle temperature in forte diminuzione.
Qualcuno ha scelto di disertare i campi profughi allestiti dalla Mezzaluna rossa - sovraffollati e insufficienti per quanto riguardano i bisogni di ogni prima necessità - e di tornare a casa propria, nonostante l'avvertimento che le scosse di assestamento potrebbero essere fatali per le strutture ancora in piedi.
Le scosse, infatti, non si sono ancora arrestate: ieri si è registrata una nuova forte scossa nel Sud-Est della Turchia, con epicentro ad Hakkari, al confine con l’Iraq, in un’area poco distante da quella colpita dal sisma di domenica scorsa. La scossa, di magnitudo 5,4 sulla scala Richter, non ha provocato danni o vittime ma la paura è ancora tanta.
“Qui si stanno ammalando tutti. Abbiamo aspettato in coda quattro giorni e ancora nulla. Quando è arrivato il nostro turno ci hanno detto che era tutto finito”, ha raccontato Fetih Zengin, 38 anni, la cui casa è stata pesantemente danneggiata a Ercis, la città maggiormente colpita dal terremoto di domenica.
“Dormiamo sotto un pezzo di plastica che abbiamo issato su alcune tavole di legno. Abbiamo 10 bambini nella nostra famiglia, si stanno ammalando. Tutti hanno bisogno di una tenda, fa freddo, c’è la neve. E' un disastro”. Molti finora hanno dormito anche all'aria aperta, attorno a improvvisati falò in bidoni di latta, mentre le temperature scendevano sotto lo zero.
Nei giorni scorsi diciassette camion della Mezzaluna Rossa colmi di aiuti destinati alle vittime, sono stati saccheggiati da sconosciuti. “Sono saccheggiatori che si presentano ogni volta che c'è un terremoto. Sono arrivati anche qui”, ha riferito Ahmet Lutfi Aker direttore dell’organizzazione umanitaria turca, sottolineando che i furti sono stati compiuti a Van e a Ercis.
“Non avevo scelta”, ha spiegato poi un saccheggiatore al Haaretz, “sono venuto due giorni fa dal mio villaggio per portare cibo alla mia famiglia ed ho aspettato ore ed ore per prendere qualcosa; alla fine non mi hanno dato niente ed ho deciso di assaltare il camion”.
Dunque, la difficoltà più grossa è ancora il coordinamento per la distribuzione dei beni.
Non bisogna dimenticare che la provincia di Van è una delle zone più difficili del Paese dove tuttora c’è in atto un conflitto inarrestabile dovuto al fatto che la maggior parte delle persone che lì vivono sono curdi: visto il secolare disinteresse e quindi la mancanza di investimento da parte del governo di Ankara, per colpa degli scontri e dissidi tra esercito turco e militanti del PKK, questa è una delle regioni più povere dal punto di vista delle infrastrutture e dell’economia e ciò sicuramente rende più difficile il soccorso per la mancanza quasi totale di strutture primarie e ora il terremoto ha peggiorato una situazione già molto drammatica ed economicamente difficile.
Proprio nelle ultime ore l’esercito turco aveva intensificato l’offensiva contro il PKK: questa offensiva è continuata anche nei primi giorni dopo il terremoto, anzi, oltre ai 10.000 soldati mandati nel sud est ai confini con l’Iraq, era giunta la notizia che nonostante il terremoto, i militari turchi fossero entrati nel nord Iraq anche con carri armati e, quindi, l’operazione si era fatta ancora più dura ed accesa. Neppure il terremoto è riuscito a creare una tregua tra le due parti. Addirittura arrivavano trionfali comunicati dell’esercito in cui dopo aver ucciso più di 350 guerriglieri si è dichiarato che finalmente l’operazione era stata portata a compimento con successo.
Un altra polemica coinvolge il problema delle costruzioni degli edifici: a Van solo il 9% delle case è stato costruito secondo criteri antisismici; e solo una casa su quattro a livello nazionale è a prova di terremoto, nonostante la Turchia sia una zona altamente sismica. Si discute molto in questi giorni di questo fatto: il fortissimo terremoto che nel 1999 ha devastato İstanbul e Izmit non è servito di lezione e si continua a costruire case abusivamente, con sabbia marina e senza norme di sicurezza. E’ di ieri il comunicato che 9 milioni di case sono a rischio e che saranno abbattute. Ma non si tratta solo di edifici privati, bensì anche di quelli pubblici.
“Perdonateci maestri!” titolava giorni fa il quotidiano Radikal. Una delle categorie professionali più colpite dal sisma è stata infatti quella degli insegnanti: 48 morti, di cui 40 quelli rimasti sotto le macerie di scuole costruite senza rispettare le principali norme anti-sismiche.
La promessa ora del governo è quella di demolire gli edifici pericolosi e ricostruirne a sue spese di nuovi solidi e antisismici, ma ormai la gente, disillusa e alle prese col freddo e la fame, stenta a crederci.
A Van, il capoluogo dell’omonima provincia a 1.750 metri di altitudine, e a Ercis, la città più colpita, oltre che nei villaggi circostanti, il freddo e il gelo aumentano le difficoltà anche per le migliaia di sfollati, rimasti senza casa dopo il crollo di oltre 2.200 edifici nel sisma. Nella catastrofe sono state coinvolte 700mila persone in tutta la regione di Van.
Dopo che la Turchia ha finalmente deciso di accettare il sostegno offerto da una trentina di Paesi, le Nazioni Unite hanno inviato migliaia di tende agli sfollati e anche la Russia ha inviato 37 tonnellate di aiuti umanitari. Anche Israele si è fatto avanti nonostante la grave crisi diplomatica in atto, dopo che a settembre Ankara aveva espulso l’ambasciatore dello stato ebraico, visto il rifiuto di quest’ultimo di presentare le sue scuse ufficiali per l’uccisione, a maggio 2010, di nove cittadini turchi a bordo della nave umanitaria Mavi Marmara in rotta per Gaza, da parte della marina d’Israele.
L'arrivo di un aereo israeliano che trasportava cinque case prefabbricate si spera sia un segnale positivo nelle relazioni tra i due governi. “Altri tre aerei carichi di aiuti arriveranno in Turchia nei prossimi due giorni”, ha reso noto una fonte all'ambasciata israeliana ad Ankara. Ma lo Stato ebraico non è il solo “antagonista” a tendere la mano: dall'Armenia è in partenza un aereo cargo con 40 tonnellate di aiuti, comprese tende e coperte, altro segno di speranza nelle relazioni tra Ankara e Yerevan, interrotte da anni a causa del rifiuto turco di riconoscere il genocidio armeno e i due vicini mantengono i confini sigillati.
Nella zona colpita dal terremoto già lavora anche un team di 150 persone arrivato dall'Azerbaigian, il primo gruppo di operatori stranieri giunto nella regione. Infine il re Abdullah bin Abdülaziz dell’Arabia Saudita ha promesso 50 milioni di dollari. Anche all’interno della Turchia c’è una grande mobilitazione di raccolta di indumenti invernali, biancheria intima, pannolini, alimenti per l'infanzia, materassi, coperte, prodotti per la pulizia, farina, riscaldamento, abiti, coperte e cibo, sia da parte di associazioni locali che della Caritas nazionale.
Oltre al freddo, infatti, l'emergenza è per la mancanza di cibo e acqua, che ha già provocato i primi casi di dissenteria e malattie respiratorie. Ma nonostante il massiccio invio di aiuti umanitari in tutta la provincia turca, a fare da padrone a Van sono ancora le polemiche per il ritardo nella distribuzione degli aiuti.
I sopravvissuti al terremoto, infatti, sono ancora alla ricerca disperata di tende e generi alimentari, mentre si teme che la gente possa morire a causa delle temperature in forte diminuzione.
Qualcuno ha scelto di disertare i campi profughi allestiti dalla Mezzaluna rossa - sovraffollati e insufficienti per quanto riguardano i bisogni di ogni prima necessità - e di tornare a casa propria, nonostante l'avvertimento che le scosse di assestamento potrebbero essere fatali per le strutture ancora in piedi.
Le scosse, infatti, non si sono ancora arrestate: ieri si è registrata una nuova forte scossa nel Sud-Est della Turchia, con epicentro ad Hakkari, al confine con l’Iraq, in un’area poco distante da quella colpita dal sisma di domenica scorsa. La scossa, di magnitudo 5,4 sulla scala Richter, non ha provocato danni o vittime ma la paura è ancora tanta.
“Qui si stanno ammalando tutti. Abbiamo aspettato in coda quattro giorni e ancora nulla. Quando è arrivato il nostro turno ci hanno detto che era tutto finito”, ha raccontato Fetih Zengin, 38 anni, la cui casa è stata pesantemente danneggiata a Ercis, la città maggiormente colpita dal terremoto di domenica.
“Dormiamo sotto un pezzo di plastica che abbiamo issato su alcune tavole di legno. Abbiamo 10 bambini nella nostra famiglia, si stanno ammalando. Tutti hanno bisogno di una tenda, fa freddo, c’è la neve. E' un disastro”. Molti finora hanno dormito anche all'aria aperta, attorno a improvvisati falò in bidoni di latta, mentre le temperature scendevano sotto lo zero.
Nei giorni scorsi diciassette camion della Mezzaluna Rossa colmi di aiuti destinati alle vittime, sono stati saccheggiati da sconosciuti. “Sono saccheggiatori che si presentano ogni volta che c'è un terremoto. Sono arrivati anche qui”, ha riferito Ahmet Lutfi Aker direttore dell’organizzazione umanitaria turca, sottolineando che i furti sono stati compiuti a Van e a Ercis.
“Non avevo scelta”, ha spiegato poi un saccheggiatore al Haaretz, “sono venuto due giorni fa dal mio villaggio per portare cibo alla mia famiglia ed ho aspettato ore ed ore per prendere qualcosa; alla fine non mi hanno dato niente ed ho deciso di assaltare il camion”.
Dunque, la difficoltà più grossa è ancora il coordinamento per la distribuzione dei beni.
Non bisogna dimenticare che la provincia di Van è una delle zone più difficili del Paese dove tuttora c’è in atto un conflitto inarrestabile dovuto al fatto che la maggior parte delle persone che lì vivono sono curdi: visto il secolare disinteresse e quindi la mancanza di investimento da parte del governo di Ankara, per colpa degli scontri e dissidi tra esercito turco e militanti del PKK, questa è una delle regioni più povere dal punto di vista delle infrastrutture e dell’economia e ciò sicuramente rende più difficile il soccorso per la mancanza quasi totale di strutture primarie e ora il terremoto ha peggiorato una situazione già molto drammatica ed economicamente difficile.
Proprio nelle ultime ore l’esercito turco aveva intensificato l’offensiva contro il PKK: questa offensiva è continuata anche nei primi giorni dopo il terremoto, anzi, oltre ai 10.000 soldati mandati nel sud est ai confini con l’Iraq, era giunta la notizia che nonostante il terremoto, i militari turchi fossero entrati nel nord Iraq anche con carri armati e, quindi, l’operazione si era fatta ancora più dura ed accesa. Neppure il terremoto è riuscito a creare una tregua tra le due parti. Addirittura arrivavano trionfali comunicati dell’esercito in cui dopo aver ucciso più di 350 guerriglieri si è dichiarato che finalmente l’operazione era stata portata a compimento con successo.
Un altra polemica coinvolge il problema delle costruzioni degli edifici: a Van solo il 9% delle case è stato costruito secondo criteri antisismici; e solo una casa su quattro a livello nazionale è a prova di terremoto, nonostante la Turchia sia una zona altamente sismica. Si discute molto in questi giorni di questo fatto: il fortissimo terremoto che nel 1999 ha devastato İstanbul e Izmit non è servito di lezione e si continua a costruire case abusivamente, con sabbia marina e senza norme di sicurezza. E’ di ieri il comunicato che 9 milioni di case sono a rischio e che saranno abbattute. Ma non si tratta solo di edifici privati, bensì anche di quelli pubblici.
“Perdonateci maestri!” titolava giorni fa il quotidiano Radikal. Una delle categorie professionali più colpite dal sisma è stata infatti quella degli insegnanti: 48 morti, di cui 40 quelli rimasti sotto le macerie di scuole costruite senza rispettare le principali norme anti-sismiche.
La promessa ora del governo è quella di demolire gli edifici pericolosi e ricostruirne a sue spese di nuovi solidi e antisismici, ma ormai la gente, disillusa e alle prese col freddo e la fame, stenta a crederci.
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