31/12/2004, 00.00
INDIA
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Tsunami, nella tragedia la mano di Dio ha unito le persone

Il PIME lancia una campagna di raccolta fondi per il Nirmala Hospital di Karinkal, gestito dalle Missionarie dell'Immacolata. Una religiosa conferma che "la gente è smarrita e impaurita", ma la "solidarietà fra i fedeli di diverse religioni" è il punto iniziale per ricostruire il Paese.

Karinkal (AsiaNews) – L'India attraversa un momento drammatico e lo "smarrimento" è evidente fra le persone, in particolare i bambini che hanno subito un vero e proprio "shock"; ora è cominciata la fase di ricostruzione e in questo momento così difficile è evidente "la mano di Dio", che "ha unito cristiani, musulmani e induisti in un abbraccio comune". Suor Clara Lazarus, infermiera, racconta ad AsiaNews il difficile lavoro di assistenza che le suore del Nirmala Hospital di Karinkal (nel Tamil Nadul, una delle zone più colpite dallo tsunami), prestano ogni giorno senza sosta alla popolazione.

L'ospedale dispone di 50 posti letto e dal 1977 si prende cura delle migliaia di persone che vivono nella zona. AsiaNews diffonde la campagna di solidarietà lanciata dal Pontificio Istituto Missioni Estere (PIME) a favore del Nirmala Hospital: le donazioni raccolte saranno devolute alle suore che assistono la popolazione colpita dalla tragedia.

Suor Clara sottolinea che "il governo ha predisposto un primo intervento di emergenza per fronteggiare l'immane tragedia", ma c'è ancora "molto da fare" per i sopravvissuti.

Com'è cambiata la vita nella regione, dopo il passaggio dell'onda anomala?

Tutto è cambiato, niente è più come prima. Le case sono state spazzate via dal mare, non c'è più nulla e quel poco che è rimasto è stato abbandonato. I sopravvissuti alloggiano in rifugi di emergenza, nei camper, ma non si fidano più a tornare nelle abitazioni lungo la costa. Anche gli oggetti personali, i vestiti sono stati spazzati via: non è rimasto più niente.

Una tragedia che ha colpito tutti allo stesso modo…

No, perché le case dei ricchi si sono salvate; non sono abitate perché le persone sono fuggite per la paura di nuove ondate, però sono ancora integre. Quelle dei poveri, invece, costruite vicino alla spiaggia, sono state distrutte e di loro non rimane alcuna traccia.

Qual è il bilancio delle vittime?

Nel Tamil Nadu ci sono almeno 8 mila morti; il terremoto ha fatto una strage e per evitare il dilagare delle epidemie tutti i corpi sono stati cremati. Le scene che vediamo davanti ai nostri occhi sono terribili, ma c'è anche la voglia di ricostruire, di ricominciare a vivere.

La tragedia ha unito la popolazione, segnata in passato da conflitti e violenze?

In ogni momento si vedono gesti di solidarietà e di aiuto reciproco: qualcuno cucina un po' di riso e lo offre a quanti non hanno nulla, neanche il mangiare. Altri offrono assistenza medica, altri ancora solo un conforto spirituale, ma sono gesti preziosi in un quadro di distruzione e di devastazione. La nostra clinica, grazie all'opera preziosa delle suore, sta facendo un lavoro immenso per dare una mano ai bisognosi.

Cosa sta facendo la Chiesa per aiutare la gente?

Mons. Leon Dharmaraj, vescovo di Kottar, ha predisposto l'invio di diversi dottori e infermiere che possano garantire un servizio di assistenza minimo; la Chiesa si prodiga per trovare fondi, strutture e cibo da dare a quanti hanno perso tutto.

Quali sono le urgenze maggiori?

E' indispensabile ricostruire la case distrutte, perché la gente non ha un tetto né un posto dove ripararsi, ma non bisogna trascurare l'emergenza cibo, visto che c'è moltissima gente da sfamare. Poi vanno trovati scarpe e vestiti.

Cosa l'ha colpita di questa tragedia?

I 400 corpi privi di vita distesi sulla sabbia e lo "shock" che si legge negli occhi dei bambini: hanno vissuto una tragedia impensabile e ora devono lottare per la sopravvivenza. Quello che rimane ora è il senso di incertezza e smarrimento: non è possibile fare previsioni per il futuro e non sappiamo quello che succederà, ma dobbiamo essere preparati in ogni momento.

Quali sono le reazioni della gente?

Incertezza, smarrimento; la gente si chiede che senso ha vivere quando si perde tutto: i propri cari, la casa, i vestiti, ogni oggetto che è anche un ricordo. E' una reazione naturale, istintiva, ma è evidente allo stesso tempo il desiderio di ricominciare. Un aspetto significativo è l'unione, la vicinanza fra i fedeli di diverse confessioni religiose: cristiani, musulmani, induisti, tutti hanno unito le loro mani e fanno di tutto per aiutare queste persone. Prima c'erano segni di intolleranza e di violenza, adesso sono tutti uniti: questo è un segno evidente dell'opera di Dio.

Numerose organizzazioni si sono attivate per aiutare i Paesi colpiti dalla tragedia, però resta un dubbio: i soldi versati andranno davvero in aiuto alle persone?

Innanzitutto voglio ribadire che tutti gli aiuti sono fondamentali: cibo, vestiti, acqua potabile e soldi, qui ogni elemento è necessario per ricominciare a vivere. Per quanto possibile è importante trovare abiti e oggetti della cultura indiana, perché le persone sono attaccate allo stile di vita locale. In una situazione così disperata mi auguro che nessuno voglia lucrare, anche se sono pochi i canali di cui davvero ci si può fidare. Il problema è che c'è molta disorganizzazione, quindi è possibile che alcuni fondi vadano perduti; questa è una ragione in più per contare su persone fidate e il nostro vescovo sta facendo molto. 

Quanto ci vorrà prima che la vita torni normale?

Molto. Solo il tempo potrà guarire le ferite della popolazione, anche se facciamo del nostro meglio per ripartire. Sarà fondamentale trovare nuove zone sulle quali costruire le abitazioni, perché adesso nessuno vuole vivere sulla costa, vicino al mare. Le persone sono spaventate e hanno ancora negli occhi la tragedia che si è consumata domenica scorsa.(DS)   

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