Troppe armi e leader inadeguati, un’ombra sul futuro della Libia
Roma (AsiaNews) - "Pochi uomini degni di definirsi democratici e troppe armi in mano alle persone sbagliate gettano un'ombra sul futuro democratico della Libia. Ma la popolazione ha un grande desiderio di libertà e lo sta dimostrando". È quanto afferma ad AsiaNews il professor Angelo del Boca, storico esperto della Libia, a un anno dall'inizio della rivoluzione che ha messo fine alla dittatura di Muhammar Gheddafi, durata 40 anni. Oggi tutto il Paese festeggia la caduta del regime. Per rispetto delle vittime della rivolta, non sono state organizzate manifestazioni ufficiali, ma nelle principali città libiche vi sono celebrazioni spontanee.
Ieri sera a Bengasi, da dove ha avuto inizio la rivolta contro il regime, migliaia di persone sono scese in piazza sparando fuochi d'artificio e cantando slogan anti-Gheddafi. A Tripoli i miliziani che controllano la città hanno allestito posti di blocco per prevenire qualsiasi tentativo di interrompere i festeggiamenti. Tuttavia, secondo Del Boca , nel Paese regna ancora clima di terrore e paura, che nei giorni scorsi ha portato migliaia di persone a scendere in piazza per chiedere il disarmo dei ribelli e la fine di ogni ostilità e barbarie.
"Nelle città, soprattutto a Tripoli - afferma lo storico - ci sono troppe armi e chi governa non è in grado di mantenere la sicurezza in un modo civile. La popolazione non si fida dei leader del Consiglio nazionale di transizione, in gran parte compromessi con l'ex regime, e purtroppo non vi è nessuno a cui interessi sul serio il bene del Paese. Chi ha il vero potere sono ancora le milizie armate".
Dalla fine del conflitto nel mese di ottobre, migliaia di miliziani ribelli provenienti da Bengasi e dalle montagne della Libia occidentale hanno fatto di Tripoli il loro accampamento. Le vie della città sono invase da mezzi blindati, carri armati e mitragliatrici ancora puntate verso ipotetici obiettivi. I ribelli si sono spartiti il controllo della capitale. Essi hanno occupato le camere degli hotel di lusso del lungomare di Tripoli. A Zintan i miliziani di alto grado hanno preso possesso delle ville degli ex funzionari del regime. L'Università di Tripoli, che ha riaperto da pochi giorni, è ancora una sorta di piazza d'armi e gli studenti sono costretti ad ascoltare le lezioni con a fianco pile di granate, proiettili e fucili mitragliatori. La popolazione è esasperata e ha chiesto alle autorità civile e militari di ordinare la resa delle armi e reintegrare nella società gli ex ribelli, molti dei quali sono poco più che adolescenti. La situazione non cambia nel resto del Paese.
Ieri Amnesty International ha pubblicato un rapporto dove denuncia le torture inflitte ai prigionieri di guerra e agli immigrati dell'Africa sub-sahariana. Nelle prigioni gestite dal Consiglio nazionale di transizione vi sarebbero oltre 2500 persone incarcerate senza un processo. A tutt'oggi si sono registrate almeno 12 morti per torture.
"Il panorama è desolante - sottolinea Del Boca - e un ritorno alla normalità in tempi brevi sarà molto difficile". Lo storico spiega che a tutt'oggi la capitale è ancora governata da Abdel Hakim Belhadj, responsabile militare della città, islamista ed ex membro di al-Qaeda, che vorrebbe instaurare la sharia in tutto il Paese. "Fra la popolazione vi è però un grande desiderio di libertà e democrazia e si opporranno all'imposizione di una legge islamica sul modello dei Paesi musulmani più radicali. Anche se il 90% dei libici è di religione islamica, il Paese ha sempre avuto un approccio moderato alla religione. In questi giorni alcuni intellettuali si sono riuniti per riscrivere i codici civile e penale. Le due fonti ispiratrici saranno il codice Rocco, risalente al periodo coloniale italiano e le leggi ispirate alla sharia già utilizzate da Gheddafi".