Tripoli nel caos. La popolazione vittima di ribelli e lealisti
Un’imprenditrice italiana denuncia la grave situazione della capitale libica, le bugie dei media e le atrocità dei ribelli. La popolazione ha paura, vive barricata nella case, senza aiuti umanitari e medicine, a causa dell’embargo Nato.
Tripoli (AsiaNews) – A Tripoli continuano gli scontri a fuoco fra i ribelli ed esercito del regime. Questa mattina diverse esplosioni hanno scosso la città e per le strade si continua a combattere. Dopo la caduta del bunker di Bab al Aziziya, i ribelli stanno avanzando verso il carcere speciale di Abu Slimi. La zona è vicina all’Hotel Rixos, dove sono ospitati decine di giornalisti della stampa internazionale. Intanto, dopo giorni di silenzio il leader libico è riapparso con un messaggio radio, con il quale ha annunciato che resisterà fino alla morte, invitando il popolo a rivoltarsi contro gli invasori. Per spegnere i focolai di guerra la Gran Bretagna ha proposto l’invio di caschi dell’Onu, ma al momento il comando Nato esclude qualsiasi intervento diretto di truppe straniere sul terreno.
AsiaNews ha intervistato Tiziana Gamannossi, imprenditrice italiana a Tripoli, che sottolinea la grave situazione dei civili abbandonati a loro stessi e facile bersaglio sia dei ribelli che delle forze lealiste.
“Qui è il caos totale – afferma l’imprenditrice – noi stiamo rinchiusi in casa per paura degli scontri a fuoco e dei bombardamenti che continuano senza sosta”. La Gamannossi racconta che nella città non vi è traccia di aiuti umanitari. La popolazione è abbandonata a se stessa, i cittadini si aiutano fra di loro. La Nato vieta al governo libico l’acquisto di medicinali e ammette solo Croce rossa e Medici senza frontiere ad operare sul campo. Tuttavia essi sono pochi e male organizzati. Il loro lavoro è la semplice distribuzione di medicine di base a qualche ospedale. Tutti gli accessi alla parte occidentale della Libia e i porti sono bloccati; per la benzina e i beni di prima necessità si ricorre agli sciacalli del mercato nero.
L’imprenditrice denuncia le bugie di molti media occidentali, che minimizzano la situazione diffondendo spesso notizie false, che in molti casi traggono in inganno anche gli stessi libici.
“I ribelli – afferma - sono divisi, alcuni sono persone che credono al cambiamento e al futuro democratico della Libia; altri sono dei semplici assassini”. La donna dice che ci sono state molte testimonianze di atrocità, gente uccisa a sangue freddo e senza motivo. “L’impressione – spiega – è di essere tornati indietro di 2mila anni”.
“A Tripoli ci sono due fazioni – spiega - e a seconda di come si evolve la situazione, scendono in piazza quelli che stanno con Gheddafi, o quelli che appoggiano i ribelli. Ora con questo caos tutto si accentua e il rischio di un bagno di sangue è reale”. La donna dice che i morti di questi giorni sono soprattutto ragazzi giovanissimi, che hanno appreso le notizie della possibile caduta del rais via Facebook e internet e si sono precipitati in piazza per festeggiare pacificamente la fine del governo. Purtroppo insieme a loro vi erano molti ribelli armati, che durante i festeggiamenti hanno ingaggiato scontri a fuoco con le truppe di Gheddafi. A farne le spese sono stati ragazzi poco più che adolescenti.
Per l’imprenditrice gli effetti di uno scontro armato nella capitale erano chiari a tutti, soprattutto al regime libico che giorni fa aveva proposto di fermare i bombardamenti, facendo scegliere al popolo e non alle bombe il futuro del Paese. “E’ scandaloso – continua - che la guerra sia ancora vista come una strada per trovare soluzioni politiche”. (S.C.)
AsiaNews ha intervistato Tiziana Gamannossi, imprenditrice italiana a Tripoli, che sottolinea la grave situazione dei civili abbandonati a loro stessi e facile bersaglio sia dei ribelli che delle forze lealiste.
“Qui è il caos totale – afferma l’imprenditrice – noi stiamo rinchiusi in casa per paura degli scontri a fuoco e dei bombardamenti che continuano senza sosta”. La Gamannossi racconta che nella città non vi è traccia di aiuti umanitari. La popolazione è abbandonata a se stessa, i cittadini si aiutano fra di loro. La Nato vieta al governo libico l’acquisto di medicinali e ammette solo Croce rossa e Medici senza frontiere ad operare sul campo. Tuttavia essi sono pochi e male organizzati. Il loro lavoro è la semplice distribuzione di medicine di base a qualche ospedale. Tutti gli accessi alla parte occidentale della Libia e i porti sono bloccati; per la benzina e i beni di prima necessità si ricorre agli sciacalli del mercato nero.
L’imprenditrice denuncia le bugie di molti media occidentali, che minimizzano la situazione diffondendo spesso notizie false, che in molti casi traggono in inganno anche gli stessi libici.
“I ribelli – afferma - sono divisi, alcuni sono persone che credono al cambiamento e al futuro democratico della Libia; altri sono dei semplici assassini”. La donna dice che ci sono state molte testimonianze di atrocità, gente uccisa a sangue freddo e senza motivo. “L’impressione – spiega – è di essere tornati indietro di 2mila anni”.
“A Tripoli ci sono due fazioni – spiega - e a seconda di come si evolve la situazione, scendono in piazza quelli che stanno con Gheddafi, o quelli che appoggiano i ribelli. Ora con questo caos tutto si accentua e il rischio di un bagno di sangue è reale”. La donna dice che i morti di questi giorni sono soprattutto ragazzi giovanissimi, che hanno appreso le notizie della possibile caduta del rais via Facebook e internet e si sono precipitati in piazza per festeggiare pacificamente la fine del governo. Purtroppo insieme a loro vi erano molti ribelli armati, che durante i festeggiamenti hanno ingaggiato scontri a fuoco con le truppe di Gheddafi. A farne le spese sono stati ragazzi poco più che adolescenti.
Per l’imprenditrice gli effetti di uno scontro armato nella capitale erano chiari a tutti, soprattutto al regime libico che giorni fa aveva proposto di fermare i bombardamenti, facendo scegliere al popolo e non alle bombe il futuro del Paese. “E’ scandaloso – continua - che la guerra sia ancora vista come una strada per trovare soluzioni politiche”. (S.C.)
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