Tripoli, al potere la nuova Assemblea costituente fra insicurezza e crisi economica
Tripoli (AsiaNews) - Il Consiglio nazionale di transizione libico (Cnt) cede il potere alla nuova Assemblea eletta lo scorso 7 luglio con le prime votazioni democratiche dopo 40 anni di regime di Mouhammar Gheddafi. Il simbolico passaggio di consegne da Mustafa Abdul Jalil, ex leader del Cnt e Mohammed Ali Salim, membro più anziano dell'Assemblea è avvenuto ieri sera nella piazza dei Martiri di Tripoli (ex piazza verde), davanti a migliaia di persone. Oltre a festeggiare il cambio di governo, i libici hanno anche ricordato la liberazione di Tripoli dell'8 agosto 2011, con candele e torce in segno di riconciliazione. Le sfide della nuova Assemblea guidata dai partiti moderati saranno: riportare la sicurezza nel Paese, creare una nuova Costituzione e far rientrare il denaro libico congelato dalle banche straniere, necessario per uscire dalla drammatica crisi economica.
Fonti di Asia News raccontano che il Paese è ancora lontano da una piena riconciliazione. I ribelli costituiscono una milizia armata parallela all'esercito, costituito in gran parte da soldati che hanno combattuto per il rais. "I militari hanno paura delle vendette - spiegano - molti non lavorano. Lo stesso vale per le forze di polizia, che non hanno più l'autorità per far rispettare l'ordine. Tutto è ancora nella totale anarchia. L'omicidio mirato dei personaggi legati al regime è ancora preferito a un giusto processo o a una vera riconciliazione".
Tuttavia, le elezioni democratiche hanno portato una ventata di fiducia. La popolazione guarda con speranza ai nuovi leader eletti in modo democratico, ma nutre anche molte perplessità e dubbi sul futuro economico del Paese, che stenta a ripartire a un anno dalla caduta del regime.
"Le condizioni economiche - spiegano le fonti - sono disastrose. Gli unici che hanno uno stipendio sono gli impiegati del governo, ma anche per loro vi sono ritardi nei pagamenti. Affitti, carburanti e beni di prima necessità sono quasi triplicati. Anziani e malati non hanno accesso alle cure mediche perché costano troppo care e gli ospedali non sono ancora stati riattivati".
Altro problema è la fuga delle imprese giunte in Libia con il regime che le aveva incaricate di modernizzare il Paese in collaborazione con le aziende locali. A tutt'oggi la maggior parte delle società straniere presenti prima della guerra stentano a rientrare, ma secondo le fonti il problema non riguarda solo la sicurezza. Esse pretendono che il governo libico paghi le commesse ordinate da Gheddafi e ricostruisca cantieri e impianti distrutti dalle bombe Nato e dai combattimenti fra esercito regolare e ribelli. Nessuna istituzione ha però il denaro necessario per soddisfare queste condizioni. Nel Paese non vi è liquidità sufficiente e per la ricostruzione e per far ripartire le imprese.
Il denaro ricavato dagli impianti petroliferi, che al tempo del regime era reinvestito nell'economia locale, è oggi dirottato in un conto della Banca nazionale del Qatar intestato ai ribelli di Bengasi. Da oltre un anno la popolazione non gode di questi introiti fondamentali per lo sviluppo del Paese. Tale conto è stato attivato il 27 marzo 2011, un mese dopo lo scoppio delle rivolte. Stessa sorte è accaduta ai depositi detenuti dalle banche di diversi Stati stranieri: Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia Germania e Italia. Gli importi in questione sono enormi. Secondo una stima del governo tedesco, la sola Bundesbank ha un saldo attivo di 1,96 miliardi di euro. Il resto del denaro è distribuito fra quasi 200 conti attivati in 13 istituzioni finanziarie per un ammontare indefinito. I depositi sono registrati a nome della Banca centrale libica, altri verso il Fondo investimenti esteri libico, e altri ancora alla Libyan Investment Authority. Secondo gli esperti la somma totale dei fondi si aggira intorno ai 100 milioni di miliardi di dollari.
Su tale argomento, fino ad ora i leader del Cnt hanno temporeggiato, affermando che il Paese era ancora troppo insicuro e il denaro rischiava di cadere in mani sbagliate. Con il nuovo governo la popolazione spera che i capitali rientrino almeno entro un anno, ma mancano leader che siano in grado di trattare con le potenze economiche straniere.
"A Tripoli e in altre città libiche - concludono le fonti - molte persone sono pronte a riprendere le armi se la situazione economica resterà tale. Il rischio è una nuova rivoluzione contro quegli Stati che hanno contribuito alla caduta del regime. La battuta più frequente nei locali della capitale è 'l'Onu e la Nato ci stanno facendo pagare il prezzo delle bombe usate per distruggere Gheddafi'". (S.C.)