Tokyo ripensa l’alleanza con gli Stati Uniti in un mondo multipolare
Tokyo (AsiaNews) – I giapponesi si trovano di fronte a una sfida storica non dissimile da quelle che si sono presentate loro nella seconda metà del secolo XIX, quando si sono sbarazzati del feudalesimo e nel 1945 quando, ripudiato il nazionalismo militarista, hanno optato per la democrazia. Questa volta la spinta a decidersi per un cambiamento radicale gli viene dalla crisi economica mondiale e dal nuovo presidente americano, o meglio dall’America che egli rappresenta.
Il primo ministro Taro Aso, al timone della nazione dal settembre scorso, non ha perso tempo a prendere contatti con il nuovo presidente, per prospettare un vertice a Washington a breve scadenza, cioè entro marzo. In una dichiarazione rilasciata alla stampa, Aso ha detto che intende “lavorare mano nella mano con il presidente Obama per rafforzare ulteriormente l’alleanza tra Giappone e Stati Uniti”.
A motivare questo desiderio, non è tanto il prestigio nazionale, quanto la consapevolezza che al Giappone si richiede da tempo iniziativa politica nel governo del mondo e non solo la diplomazia degli aiuti economici. In questo contesto il governo di Aso, oltre all’impegno per affrontare l’emergenza economica mondiale, propone tre aree di collaborazione con gli Stati Uniti: il cambiamento del clima, la riduzione degli armamenti nucleari e il sostegno per l’Africa.
Da parte di Washington, Hillary Clinton, nuovo segretario di stato americano, ha già detto che "l'alleanza Stati Uniti - Giappone è la pietra angolare della politica americana in Asia”.
Dal potere egemonico a un mondo multipolare
Ma i veri interpreti della posizione che il Giappone deve assumere nella nuova situazione internazionale sono gli intellettuali. Su questo argomento si è espresso con particolare chiarezza il professor Yasuaki Onuma, docente di legge internazionale all’università’ di Tokyo, con un articolo intitolato “ Il Giappone può prosperare in un mondo multipolare” apparso sull’Asahi. Lo studio è di particolare valore perché riassume le convinzioni di storici e saggisti ed è basato su un’ analisi culturale della realtà al di là di meschini pregiudizi nazionalisti.
Per Onuma la grave crisi economica, che non ha precedenti perché globalizzata; non è una voragine in cui è caduto il mondo, ma un’oscura e forse lunga galleria, al di là della quale luccica un futuro luminoso. L’enorme crisi globale non è di per sé fattore di cambiamento, ma qualcosa che mette in luce il processo di cambiamento epocale in corso.
Riflettendo dal punto di vista dell’Asia, nella prospettiva storica egli distingue tre secoli; i primi due (diciannovesimo e ventesimo) riguardano il passato e il terzo (ventunesimo) il futuro.
Il secolo XIX e’ stato il secolo dell’Europa. Allora, scrive, “le maggiori potenze europee hanno costruito un sistema coloniale globale, hanno diffuso nel mondo la scienza moderna e hanno guidato la ‘civilizzazione’. Il secolo XX è stato quello degli Stati Uniti. Noi abbiamo goduto dei benefici della motorizzazione, abbiamo coltivato la sensibilità diffusa dai film di Hollywood e della musica rock e siamo stati condotti all’entrata di una civilizzazione caratterizzata dalla tecnologia dell’informazione”.
Lo schema storiografico delineato dal professore giapponese è didatticamente utile, anche se incompleto nel contenuto. Egli non sottovaluta i benefici che il mondo ha ricevuto dalle due civilizzazioni, ma ne sottolinea anche l’aspetto egemonico: il mondo è stato rispettivamente governato dall’Europa, prima, e poi dall’America.
E come sarà il secolo XXI? È convinzione diffusa che sarà il secolo dell’Asia. Si prevede che la Cina diventerà’ superpotenza economica tale che prenderà il posto dell’America e che anche l’India entrerà nel numero delle superpotenze economiche. Quando ciò avverrà, prevedono alcuni, il potere asiatico sorpasserà quello dell’Europa e degli Stati Uniti prima della fine del secolo.
Onuma esita a dichiarare che il secolo XXI sarà il secolo dell’Asia. Egli si attende che “il mondo sarà più multipolare, con diverse civilizzazioni che non quello del XX secolo dominato dai valori dell’Europa e dell’America”. La previsione del dominio dell’Asia nel governo del mondo è basata sulla ‘comprensione’ del passato mentre la visione di un mondo multipolare è basato sull’immaginazione’ del futuro. Un’immaginazione che non è fantasia ma attenta lettura dei “segni dei tempi”.
Il ruolo del Giappone nel cambiamento epocale
La seconda metà del sec XX ha visto l’enorme e positiva influenza economica del Giappone in tutto il mondo. Ma ora, per il declino dell’economia giapponese trascinata nel vortice della crisi mondiale, alcuni temono che non ci sia più posto per il Giappone in un mondo multipolare. Cade in questo pessimismo chi basa l’influenza di una nazione sul potere delle cose, vale a dire quello militare e quello economico. Molto più importante è l’influenza che gli anglosassoni chiamano “soft power”, quello della civiltà che mette al centro l’uomo e non le cose. In occidente tre sono gli elementi di tale potere: la democrazia, i diritti umani e, noi aggiungiamo, il cristianesimo che ne costituisce il fondamento. Ma anche l’Asia ha i suoi valori spirituali che hanno forgiato civiltà molto antiche.
Ma la febbre del rapido sviluppo economico e industriale sta facendo scempio di questi valori nelle due nazioni che sono state la culla della civiltà asiatica: l’India e la Cina. È a questo livello che emerge il “potere soffice” del Giappone. I vari filoni della cultura asiatica durante parecchi secoli sono arrivati nel Paese del sol levante come ad ultima sponda e qui hanno subito un processo di elaborazione che è continuato anche negli ultimi 150 anni, nonostante la funesta tragedia del militarismo imperialista . “I giapponesi sono stati i primi tra i popoli dell’Asia a imparare la moderna civilizzazione occidentale e a usarla abbondantemente” osserva Onuma. “Ma nello stesso tempo hanno mantenuto la loro identità come parte della civilizzazione orientale”. Ora sono nella posizione di aiutare le nazioni dell’Asia a fare questa sintesi. Il potere della cultura giapponese elaborata da queste esperienze è il “soft power" del Giappone, che Onuma non si trattiene dal definire “colossale”.