Tibetani in esilio denunciano: monaci torturati nelle prigioni di Lhasa
Dharamsala (AsiaNews) – “Ogni giorno riceviamo notizie di nuovi morti a Lhasa, monaci e suore sono torturati in modo inumano”. Urgen Tenzin, direttore del Centro tibetano per i diritti umani e la democrazia, dice ad AsiaNews che è “sconvolto per la brutalità degli omicidi”. “Per protesta i nostri seguaci si sono tosati il capo, dopo una preghiera il 20 marzo a Dharamsala. Il 22 marzo anche molti membri del Parlamento tibetano in esilio si sono tosati la testa”. Da Dharamsala (India), il governo tibetano in esilio chiede a Pechino l’immediato rilascio dei tibetani arrestati, cure mediche per le migliaia di feriti e l’accesso dei media alle zone delle violenze.
Il Comitato per la solidarietà tibetana, che raccoglie diversi dei maggiori gruppi pro-Tibet, parla di oltre 140 morti accertati e 1.100 arresti, con migliaia di morti e detenuti non conosciuti. Gli arrestati sono portati in prigioni lontane, perché quelle di Lhasa sono piene, e subiscono torture giustificate con le esigenze delle indagini. Oltre 450 feriti non ricevono le cure necessarie. In Cina in molte zone abitate da tibetani la gente si riunisce per pregare tutti insieme, come a Kardze, Chamdo e Golog il 20 e 21 marzo.
Anche Dhondup Dorjee , vicepresidente del Tibetan Youth Congress, parla ad AsiaNews di “oltre 100 tibetani morti accertati e migliaia tra feriti e arrestati. Riceviamo tante fotografie di morti a Lhasa e queste fotografie raccontano la storia di una brutalità senza limiti dei cinesi contro i tibetani”. “Questa brutale violenza del regime cinese dimostra la mancanza di legittimità della dominazione cinese in tutte le 3 province tibetane”. “Siamo grati a Sua Santità il Papa per avere ricordato il Tibet nel messaggio pasquale”.
In Cina le proteste pacifiche iniziate il 10 marzo (anniversario dell’occupazione cinese del 1959), si sono svolte in più di 20 contee, non solo in Tibet ma anche nelle parti tibetane delle province di Gansu, Sichuan e Qinghai. Ora tutti i gruppi pro Tibet invocano un intervento della Nazioni Unite e dei governi per chiedere a Pechino la fine delle violenze e il rilascio dei detenuti, l’accesso della stampa internazionale e una missione che accerti quanto è avvenuto.
Ieri a New Delhi vari gruppi tibetani durante una protesta hanno innalzato 15 bandiere nere, in ricordo dei 15 giorni di repressione. Il Comitato organizzatore della Marcia pro Tibet ne ha disposto la temporanea sospensione, accogliendo gli inviti del Dalai Lama. La marcia, che vuole portare centinaia di tibetani in esilio dall’India alla loro Patria quale richiesta di maggiore libertà, è giunta a Roper nel Punjab.