Tibet, la polizia cinese uccide un monaco buddista e suo fratello
I due non stavano manifestando, ma erano nascosti in un luogo protetto: avevano partecipato alle proteste del 23 gennaio contro la dominazione cinese. Premier tibetano ad AsiaNews: “Siamo sconvolti da tanta violenza. La comunità internazionale mandi degli ispettori per scoprire la verità sul Tibet”.
Dharamsala (AsiaNews) - Le autorità cinesi che occupano il Tibet hanno ucciso questa mattina un monaco buddista tibetano e suo fratello, colpevoli di aver partecipato a una manifestazione contro il dominio comunista, che si era conclusa con la morte di circa 6 manifestanti. Mentre arrivano le conferme di una nuova auto-immolazione (la 22esima), il premier tibetano in esilio dice ad AsiaNews: “Siamo sconvolti da tanta violenza”.
Le autorità cinesi hanno inseguito per più di due settimane Yeshe Rigal, monaco 40enne, e il fratello 38enne Yeshe Samdrub: entrambi avevano partecipato alle manifestazioni della contea di Draggo, convocate per chiedere il ritorno del Dalai Lama e concluse con una sparatoria e con centinaia di arresti. Da allora i due si erano rifugiati in un luogo ritenuto sicuro.
Kalsang, monaco del monastero di Drepung, racconta: “Era in fuga, ma i cinesi hanno circondato il posto dove si trovava insieme al fratello. Dopo averli fatti uscire, gli hanno sparato”. Nel frattempo, arrivano le prime conferme di una nuova auto-immolazione, questa volta da parte di un monaco del monastero di Lab. Anche questo monastero è noto per il sostegno al Dalai Lama, e nel mirino delle autorità.
Lobsang Sangay, primo ministro del governo tibetano in esilio, dice ad AsiaNews: “Siamo addolorati e increduli per il continuo aumento delle auto-immolazioni. Inoltre siamo molto preoccupati per l’invio di migliaia di soldati in Tibet e dal bando imposto da Pechino ai media stranieri nella provincia. Apprezziamo le dichiarazioni di molte nazioni, ma chiediamo alla comunità internazionale di fare un’azione concreta: mandate le vostre delegazioni in Tibet a investigare sulla verità”. (NC)
Le autorità cinesi hanno inseguito per più di due settimane Yeshe Rigal, monaco 40enne, e il fratello 38enne Yeshe Samdrub: entrambi avevano partecipato alle manifestazioni della contea di Draggo, convocate per chiedere il ritorno del Dalai Lama e concluse con una sparatoria e con centinaia di arresti. Da allora i due si erano rifugiati in un luogo ritenuto sicuro.
Kalsang, monaco del monastero di Drepung, racconta: “Era in fuga, ma i cinesi hanno circondato il posto dove si trovava insieme al fratello. Dopo averli fatti uscire, gli hanno sparato”. Nel frattempo, arrivano le prime conferme di una nuova auto-immolazione, questa volta da parte di un monaco del monastero di Lab. Anche questo monastero è noto per il sostegno al Dalai Lama, e nel mirino delle autorità.
Lobsang Sangay, primo ministro del governo tibetano in esilio, dice ad AsiaNews: “Siamo addolorati e increduli per il continuo aumento delle auto-immolazioni. Inoltre siamo molto preoccupati per l’invio di migliaia di soldati in Tibet e dal bando imposto da Pechino ai media stranieri nella provincia. Apprezziamo le dichiarazioni di molte nazioni, ma chiediamo alla comunità internazionale di fare un’azione concreta: mandate le vostre delegazioni in Tibet a investigare sulla verità”. (NC)
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