Tiananmen: Non dimenticate il giovane che ha sfidato i carri armati
Calgary (AsiaNews) - Lu Decheng, 46 anni, da oltre tre anni è rifugiato politico a Calgary (Canada), dopo aver passato 9 anni in un lager cinese ed essere riuscito a fuggire in Thailandia. I moti studenteschi e operai dell’89 hanno segnato tutta la sua vita. Ma la notte del massacro Lu era già in prigione: era stato arrestato qualche settimana prima, il 23 maggio, quando con due suoi amici hanno lanciato uova e vernice contro il grande ritratto di Mao Zedong che sovrasta l’entrata del Palazzo imperiale. Era la prima volta che veniva “offesa” la memoria del dittatore che aveva decretato la morte di decine di milioni di cinesi. Lu Decheng, autista di camion, era arrivato a Pechino per sostenere le richieste degli studenti. Il suo gesto è stato condannato dal regime come “incitamento alla rivolta”.
Ora Lu è rifugiato in Canada, ma la moglie e suo figlio sono ostaggio del governo di Pechino che non li lascia emigrare. Il secondo che ha macchiato il ritratto di Mao, Yu Zhijian, 46 anni, rilasciato nel 2001, ha perso il suo lavoro di insegnante e vive con lavori saltuari. Il terzo, Yu Dongyue, brillante giornalista dell’Hunan, è impazzito: durante la sua prigionia ha subito torture e pestaggi; una sbarra di ferro gli ha rotto la scatola cranica e ora vive mentalmente disabile. I suoi genitori, pur di averlo a casa vivo, hanno accettato di tacere sulle violenze subite dal figlio in prigione e di non chiedere giustizia.
La memoria più dolorosa di questi 20 anni è il ricordo di quel giovane operaio che da solo sfida il corteo dei carri armati a Pechino. La sua immagine ha fatto il giro del mondo e tutti la conoscono, ma quasi nessuno sa qual è la sua sorte. Si chiamava Wang Weiming e non sappiamo se è vivo o morto. Mi auguro sempre che qualcuno si mobiliti e si venga a sapere la verità su di lui, anche se è difficile perché quella immagine non fa vedere il suo volto. Da questo punto di vista io e i miei due amici che abbiamo imbrattato il ritratto di Mao siamo stati più fortunati: le nostre facce erano conosciute dai media di tutto il mondo e così, dopo che ci hanno arrestato, la comunità internazionale ha fatto pressione per la nostra liberazione e siamo usciti vivi dal lager.
Un altro fatto che mi impressiona è la facilità con cui la gente dimentica tutti questi morti: tutti gli studenti, ma anche la popolazione di Pechino, gente semplice, operai, contadini che aiutavano gli studenti. Essi sono dei veri eroi e bisogna dichiarare il massacro del 4 giugno un crimine contro l’umanità, non “un problema interno”, come lo definisce il Partito.
Il movimento democratico dell’89 forse non aveva le idee molto chiare su cosa fare, ma ha permesso la nascita di istanze democratiche che durano ancora oggi in Cina. In più, io credo che il mondo intero dovrebbe essere riconoscente ai giovani di Tiananmen: il massacro del 4 giugno ha provocato i grandi cambiamenti nell’Europa dell’est e la caduta del Muro di Berlino; esso ha svolto un ruolo di spinta, che ha facilitato il cambiamento.
A guardare la Cina dopo 20 anni, si resta sorpresi dei cambiamenti, ma essi sono soltanto apparenti. Certo l’economia mostra tutto il potere che ha il Partito comunista, la loro capacità di governare e organizzare il Paese, ma esso continua a resistere alla libertà e alla democrazia, proprio come 20 anni fa. E se si guarda all’economia ci si accorge di quanto essa sia debole. Infatti il gigante che sembra essersi levato sfrutta la manodopera a basso costo e apre i suoi mercati solo nella misura in cui può rafforzare se stesso. La Cina in economia non usa le regole di tutti, ma fa un gioco economico che è molto simile a una guerra: seduce i Paesi occidentali, li mette uno contro l’altro, vincendoli: prima il Giappone, poi gli Stati Uniti, ecc… Il metodo cinese ricorda molto quello delle guerre nel Periodo Primavera - Autunno (770 al 221 a.C.) o del periodo del primo imperatore Qin Shi Huang. Tutti pensano che la Cina sia cambiata solo perché ha trasformato l’economia, ma il suo disegno rimane lo stesso: la salvaguardia del potere del Partito e l’estensione del suo dominio. Se in Cina non finisce l’egemonia del Partito, non c’è vero cambiamento.
Mi auguro che la comunità internazionale non perda d’occhio la Cina: solo se si risolve la questione cinese, allora ci sarà la pace nel mondo. Faccio presente che il Partito comunista cinese sostiene la dittatura della Corea del Nord, il Vietnam, il Venezuela, il Sudan, il Pakistan e quindi è collegato anche con il fondamentalismo islamico.
Per la democrazia in Cina dobbiamo impegnarci tutti. Ho messo in opera un sito web dal titolo “L’ultimo muro di Berlino”. Spero che questo ultimo muro – il comunismo cinese – cada al più presto. Solo così ci sarà la possibilità di pace nel mondo.
26/05/2009