Thailandia, profughi birmani pronti a rimpatriare per portare aiuti
di Weena Kowitwanij
Un sacerdote impegnato nei centri accoglienza al confine racconta la grande solidarietà e coraggio degli emigrati che vogliono tornare a casa, nonostante i rischi, per soccorrere gli sfollati di Nargis. Scetticismo sulle promesse di apertura del regime agli operatori occidentali.
Bangkok (AsiaNews) - I profughi birmani in Thailandia, anche se consci del rischio che corrono, sono pronti a rientrare nel loro Paese pur di portare aiuto ai connazionali colpiti dalla distruzione del ciclone Nargis, del 2 e 3 maggio scorso. Lo racconta ad AsiaNews un sacerdote birmano impegnato da anni nell’assistenza nei 9 campi profughi che al confine thailandese accolgono circa 100mila persone fuggite da miseria, persecuzione e soprusi nel loro Paese.
“Hanno vissuto molte atrocità, visto bruciare le loro case, uccidere o arrestare parenti e amici – racconta il prete, che chiede l'anonimato – rimpatriando rischiano di essere ammazzati anche senza motivo, ma qui ognuno di loro si dice pronto a partire per soccorrere le centinaia di migliaia di birmani nel sud-ovest, bisognosi di aiuto”.
La Chiesa thailandese in collaborazione con la COERR (Caritas Thailandia) sta inviando ingenti aiuti in materiale di soccorso e denaro alla Chiesa birmana, impegnata in prima linea a fianco degli sfollati di Nargis. Al momento secondo l’Onu, solo un terzo dei 2,4 milioni di sinistrati è stato raggiunto da aiuti di prima emergenza. Il generalissimo Than Shwe ha promesso al segretario generale dell’Onu di facilitare l’ingresso di “tutti” gli operatori umanitari, per tre settimane costretti a rimanere al confine o nei limiti di Yangon. Nella regione del Delta dell’Irrawaddy, la più colpita, alcuni villaggi sono ancora isolati. Ieri i media di Stato, controllati dall'esercito, hanno espresso apprezzamento per l'intervento delle Nazioni Unite. Mossa che potrebbe suggerire un rilassamento nella chiusura finora tenuta dalla giunta verso il resto del mondo occidentale. Anche l’Onu si è detta fiduciosa in sviluppi positivi.
Ma il sacerdote intervistato da AsiaNews rimane scettico sulle presunte “aperture” del regime: “I generali sono preoccupati solo della loro sicurezza e temono che la presenza di stranieri dia sostegno ai gruppi presenti sul territorio, da tempo pronti a ribellarsi contro il regime”. Il governo birmano ha accettato l’intervento della Chiesa, solo a condizione che non interferisca nella politica. “Per questo – dice il sacerdote – si è scelto di distribuire gli aiuti di prima necessità la domenica dopo la messa”. In questa terribile situazione - conclude – da sacerdote e da birmano sono convinto di dover fare tutto il possibile per il mio Paese, e di farlo come strumento del Signore”. Il religioso partirà presto per la ex Birmania con la missione di supervisionare la consegna degli aiuti inviati del COERR.
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