09/04/2025, 12.26
MYANMAR
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Testimonianza dal Sagaing: 'Mobilitati per gli aiuti, ma i militari ostacolano'

di Gregory

Un'operatrice racconta ad AsiaNews la situazione nelle zone colpite dal sisma di fine marzo: i militari spesso bloccano i carichi, alimentando la paura e l'incertezza. Il regime, impegnato a ricostruire i propri uffici anziché portare soccorsi alla popolazione, vorrebbe nascondere gli sfollati. Nessuno sforzo coordinato per estrarre i corpi dei morti dalle macerie. “Bisogni enormi, ma possiamo ancora raggiungere i più vulnerabili”. 

Yangon (AsiaNews) – In seguito al terremoto di magnitudo 7.7 che il 28 marzo ha colpito il Myanmar, “la situazione è molto preoccupante, sia in termini di bisogni umanitari che di rischi per i diritti umani, soprattutto nei campi informali per sfollati”, eppure nei siti maggiormente colpiti dal sisma “non è stata segnalata alcuna presenza del governo”. È la denuncia di un’operatrice umanitaria, Catherine (nome di fantasia), che nelle ultime settimane ha visitato le regioni di Mandalay e del Sagaing, alcune delle aree più martoriate dalla catastrofe e dalla guerra civile che da più di quattro anni continua tra esercito golpista e gruppi armati della resistenza.

Dopo il sisma le agenzie dell’Onu come l’UNHCR, l’Agenzia per i rifugiati e il Programma alimentare mondiale (PAM) e la rete di Caritas stanno lavorando insieme per la consegna degli aiuti. Nonostante l’impegno delle organizzazioni internazionali, però, il regime, che ha vietato l’ingresso ai turisti e ai media stranieri, continua a complicare le operazioni: “Il ministero per i Soccorsi ha recentemente informato le organizzazioni umanitarie che devono operare secondo le direttive della giunta militare”, ha spiegato Catherine. Non solo: “Un funzionario di Naypyidaw ha detto che presto tutti gli sfollati che si trovano in luoghi visibili o accessibili dovranno trasferirsi in maniera autonoma in aree più nascoste o remote. Questo è estremamente preoccupante”.

La distribuzione degli aiuti continua quindi a essere segnata dall’incertezza: “Le autorità ora richiedono che tutti gli aiuti stranieri siano consegnati al Comitato per la gestione dei disastri (DMC). Ma la realtà è che nessuna organizzazione, locale o internazionale, osa rivolgersi al DMC. C’è paura, troppa burocrazia e molta sfiducia. Di conseguenza, si sta formando un grosso collo di bottiglia nella consegna degli aiuti”.

Ai problemi logistici, poi, si aggiungono anche i controlli e le intimidazioni dei militari: “Quando si trasportano forniture straniere, soprattutto prodotti come i biscotti del PAM, spesso il personale dei posti di blocco li esamina. Questo intimidisce gli operatori umanitari e rallenta il processo di consegna”. Non mancano le difficoltà relative al personale: “Purtroppo non abbiamo abbastanza volontari per coprire un’area ampia e le crescenti necessità che si stanno formando”, continua Catherine.

Nonostante le sfide, gli operatori umanitari lavorano duramente per raggiungere tutte le comunità colpite, indipendentemente dalla religione. “Abbiamo concentrato gran parte del sostegno sulle comunità musulmane, in particolare a Mandalay, perché sono state colpite in modo sproporzionato - racconta la cooperante -. Molti uomini musulmani erano riuniti in preghiera al momento del terremoto e sono stati tra le vittime”. Il terremoto è avvenuto durante l’ultimo venerdì di Ramadan. Alcuni video circolati online in seguito alla tragedia mostravano che, oltre ai templi buddhisti, anche diverse moschee sono crollate, provocando la morte di centinaia di fedeli che si erano riuniti in preghiera.

Il regime, tuttavia, non sembra avere la popolazione tra le sue priorità: “L’amministrazione militare sta ricostruendo i suoi uffici anziché aiutare le vittime del disastro. Questo ha creato frustrazione e senso di abbandono”, dice Catherine. Anche per chi ha perso la vita “non c’è stato uno sforzo coordinato per il recupero dei corpi. È un problema serio. Ha un impatto non solo sulla dignità dei defunti, ma anche sul benessere mentale ed emotivo delle loro famiglie”.

“Per ora le persone non chiedono supporto psicosociale, sono concentrate sulla sopravvivenza. Ma sappiamo per esperienza che i traumi emergeranno nelle prossime settimane”, ha raccontato ancora Catherine, nella speranza che, nonostante le difficoltà, “la consegna degli aiuti non venga politicizzata e che nessuna comunità sia lasciata indietro”, ha detto. “I bisogni sono enormi, ma con il giusto sostegno possiamo raggiungere anche le persone più vulnerabili”.

 

Per rispondere all’emergenza umanitaria, la Fondazione Pime ha deciso di lanciare una raccolta fondi per il Myanmar. Le offerte servono a portare aiuti a quanti sono colpiti dal terremoto attraverso l'ong New Humanity International, da anni attiva nel Paese che attraverso la sua rete locale si è mobilitata in queste ore per le operazioni di soccorso.

Si può donare con causale “S001 Emergenze - Terremoto in Myanmar e Thailandia”:

  • on line direttamente a questo link
  • tramite bonifico bancario intestato a Fondazione Pime Onlus IBAN IT89M0623001633000015111283 (si raccomanda di inviare copia dell’avvenuto bonifico via email a uam@pimemilano.com indicando nome, cognome e indirizzo, luogo e data di nascita, codice fiscale)
  • sul conto corrente postale n. 39208202 intestato a Fondazione Pime Onlus via Monte Rosa, 81 – 20149 Milano
  • in contanti o con assegno presso il Centro Pime di Milano in via Monte Rosa 81 dal lunedì al venerdì (9.00-12.30 e 13.30-17.30)
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