Terroristi e governi, convertitevi alla giustizia e all'amore
Dopo 25 anni di pontificato e dopo 35 anni di Messaggi per la Pace, questo papa ci stupisce: è l'unico a prendere di petto le questioni mondiali e tentarne una soluzione.
Stupisce il fatto che i primi interlocutori del Messaggio non siano anzitutto i fedeli cattolici, le chiese, le parrocchie, ma i capi delle nazioni, i giuristi, gli educatori e perfino i terroristi, che scegliendo la violenza compromettono "alla radice la causa" per la quale combattono. A tutti il Papa dice che la Pace è possibile ed anzi è un dovere.
La violenza e le morti che quotidianamente scorrono davanti agli occhi come un film dell'orrore, hanno fatto crescere nei cuori un fatalismo rassegnato, un'incapacità ad incidere sulla società. Ne è prova il disinteresse per la politica nazionale e internazionale, un disinteresse verso i problemi vicini e lontani. Insieme a questo fatalismo, vi è una sorta di prometeismo guerriero, una voglia di "assalto" di cui fanno mostra gli stati e anche i singoli. Economie, politiche, discussioni, giornali, tutto si è altamente polarizzato, ogni interlocutore si crede un Cristo in terra: chi non è con me è contro di me. E gli avversari vanno schiacciati. Il "diritto della forza" è divenuto il metodo con cui risolvere ogni situazione.
Invece esistono diritti fondamentali che sono originari e "anteriori e superiori al diritto interno degli stati" (n.5). A questi bisogna ritornare ed educare perché la pace abbia la possibilità di crescere.
Giovanni Paolo II mette in causa le stesse Nazioni Unite. Pur avendo svolto un lavoro di grande educazione, esse non sono stati capaci di fermare i tanti conflitti che ardono nel mondo.
Per questo è necessario un rinnovamento del diritto internazionale, anzi un "grado superiore di ordinamento internazionale". Ricordando un suo auspicio formulato nel '95, il Papa chiede che l'ONU "si elevi sempre più dallo stadio freddo di istituzione di tipo amministrativo a quello di centro morale per essere una famiglia di nazioni".
Giovanni Paolo II non accusa nessuno, ma mostra che il deperimento della situazione internazionale è responsabilità non solo dei violenti, ma anche degli stati. Vi sono "inadempienze dei suoi [dell'ONU] membri" (n.7) che minano il diritto internazionale.
Se si pensa al Consiglio di Sicurezza e ai membri con diritto di veto (USA, Cina, Russia, Francia Gran Bretagna), il Messaggio è una grave esame di coscienza per i governanti di questi paesi. Proprio ieri la Cina ha stabilito un elenco delle organizzazioni musulmane "terroriste" nel territorio del Xinjiang. Molte di queste organizzazioni sono soltanto gruppi di musulmani che chiedono l'autonomia amministrativa e la libertà di educare alla fede islamica. La cappa terrorista serve solo a nascondere le violazioni ai diritti umani fatte con il guanto statale. Che dire poi delle violazioni alla libertà di parola, di associazione, di religione che avvengono in Cina e che vengono considerate "questioni interne da Pechino? Il Papa, senza nominare nessun paese in particolare, condanna "quei governanti i quali violano impunemente la dignità e i diritti dell'uomo, celandosi dietro il pretesto inaccettabile che si tratterebbe di questioni interne al loro Stato" (n. 9). La stessa cosa si potrebbe dire per la Russia e la Cecenia, ma l'elenco potrebbe abbracciare almeno metà del mondo.
E che dire della lotta contro il terrorismo apertasi dopo l'attacco alle Torri Gemelle? Il Papa parla esplicitamente della "piaga funesta del terrorismo", che "ha prodotto massacri efferati" e ha reso "più irta di ostacoli la via del dialogo". Egli dice che la forza "è necessaria". Ma insieme è necessario rimuovere "le cause che stanno all'origine di situazioni di ingiustizia, dalle quali scaturiscono sovente le spinte agli atti più disperati e sanguinosi". Ritorna qui il problema dell'intervento anglo-americano in Afghanistan e in Iraq, e la lunga prigionia dei sospetti a Guantanamo, giustificabile solo se è vera lotta contro il terrorismo. Ma proprio per questo esso deve rispettare "il diritto internazionale": "l'uso della forza contro i terroristi non può giustificare la rinuncia ai principi di uno stato di diritto" (n. 9). E con maggiore forza ritorna il problema della crisi israelo-palestinese, vera palude in cui si inabissano i diritti a uno stato, quelli alla sicurezza, patti non osservati da entrambe le parti, fatalismo internazionale, protagonismo violento.
Per attraversare questo mare di dolore, di diritti conculcati, e violenze reciproche non vi sono molte strade. Il Papa ne indica solo una: occorre che la morale fecondi il diritto, che non vinca la legge del più forte, della convenienza politica o economica. Quanto atteggiamento francese nei confronti dell'Iraq è dipeso da tale convenienza economica, dagli interessi e i contratti e quanto da vero amore al diritto internazionale?
Con questo Messaggio il Papa ha il coraggio di chiedere agli stati, ai capi delle nazioni, ai terroristi una cosa sola: la conversione. Essa è fatta di azione ("non rimane che operare" n. 3) che attui il diritto e l'amore. Giustizia e amore non sono "antagoniste", ma "due facce di una medesima realtà". E l'amore suppone la possibilità del perdono. I cristiani e gli uomini di buona volontà possono affrettare la vittoria dell'amore.
24/10/2004