Teheran tra superproduzione di petrolio e voglia di nucleare
L'attuale livello di produzione del greggio dovrebbe far abbassare i prezzi e rende conveniente per l'Iran costruire centrali ad olio combustibile. La scelta nucleare mira alla costruzione di armi da contrapporre a quelle israeliane.
Milano (AsiaNews) - In campo petrolifero il paradosso è che con una crisi di sovrapproduzione rischiamo di pagare il greggio come mai prima d'ora in termini reali, depurati cioè dall'inflazione di lungo periodo. Al tempo stesso, proprio la sovrapproduzione di greggio ed i prodotti che si possono ottenere con il tipo di raffinerie esistenti in Iran dimostra che l'obiettivo di fondo del programma nucleare di Teheran non è tanto quello di avere energia elettrica, quanto di dotarsi di armi nucleari.
Mentre, infatti, l'attenzione politica internazionale era centrata sulla decisione iraniana di riprendere la ricerca sull'arricchimento dell'uranio, i mercati petroliferi, dopo una fiammata iniziale trainata dai fondi speculativi di borsa (circa un dollaro al barile), hanno assistito ad un leggero arretramento, circa 30 centesimi al barile, delle quotazioni del Dated Brent, il greggio inglese il cui valore fa da riferimento per quasi tutti i tipi di petrolio del mondo. In generale si può dire che in pochi giorni il calo è stato più o meno per tutti i greggi di oltre tre dollari al barile.
Se poi, invece di esaminare le quotazioni del Brent, le cui transazioni sono prevalentemente di tipo borsistico, cioè in larga misura fittizie, si prendono in considerazione i prezzi praticati in relazione alle forniture reali di carichi di petrolio si noterà che i prezzi reali del petrolio sono molto deboli. E ciò perché, dal punto di vista tecnico industriale della domanda e dell'offerta, c'è una chiara crisi di sovrapproduzione. Alcuni greggi pesanti e ad alto contenuto di zolfo sono, ad esempio, quotati con uno sconto di quasi venti dollari al barile rispetto al Brent, che è un greggio leggero e a basso contenuto di zolfo.
I dirigenti dell'OPEC, l'Organizzazione dei Paesi produttori di petrolio, sono pienamente consapevoli della sovrapproduzione, ma nell'ultima riunione dello scorso 2 febbraio a Vienna hanno deciso di non richiedere ai Paesi membri una riduzione della produzione perché sarebbe stata una misura inefficace. La radice del problema sta, infatti, nell'arretratezza degli impianti di raffinazione che in molte parti del mondo sono a semplice distillazione atmosferica. Si tratta d'impianti la cui configurazione progettuale risale a circa cinquant'anni fa ma la cui tecnologia ha più di cento anni. Da tali impianti si può ottenere una percentuale molto bassa di distillati leggeri necessari per la produzione di benzina e nafta vergine, la base per la produzione di materie prime per la plastica e la chimica organica. E' la sovrapproduzione di greggio a permettere di evitare tensioni di prezzo nel mercato dei distillati leggeri a fronte della crescente motorizzazione ed industrializzazione in grandi Paesi come ad esempio Cina ed India. Questo ovviamente comporta che il grosso della sovrapproduzione di greggio sia scaricato sui distillati medi (il gasolio) e pesanti (l'olio combustibile).
Si tratta di una situazione strutturale perché l'adeguamento a livello mondiale degli impianti di raffinazione richiede tempo e forti investimenti, che stentano ad essere avviati. Ne consegue che è poco credibile quanto affermano i dirigenti iraniani e cioè che vogliono disporre di impianti nucleari per sostenere la crescita del Paese con adeguate forniture di energia elettrica. A tal fine sarebbe molto più efficiente, economico ed immediato costruire centrali elettriche alimentate ad olio combustibile. Se ciò nonostante si volesse, in un'ottica di veramente lunghissimo periodo, dotare l'Iran di una quota di produzione elettrica d'origine nucleare, non sarebbe affatto necessario sviluppare in proprio la tecnologia d'arricchimento dell'uranio. A tal fine basterebbe acquistare all'estero l'uranio arricchito, come, con un ragionevole compromesso, hanno proposto i russi. È evidente dunque che i dirigenti iraniani puntano a dotarsi di armi nucleari montate su missili a gittata tale da controbilanciare le circa 200 testate nucleari di cui già dispone Israele. Ma se si considerano i rischi di un possibile scontro nell'area, non è credibile che la mossa iraniana sia determinata solo da un strategia di preminenza in ambito islamico e dal desiderio di riequilibrio del potere atomico regionale di Israele.
Per comprendere come mai l'Iran abbia il velato sostegno di molti Paesi arabi, suoi tradizionali nemici, bisogna ricordare che la spianata del Tempio, cuore della Gerusalemme ebraica è anche la spianata delle moschee. Girando per Gerusalemme è possibile comprare per pochi soldi un modello di ricostruzione del Tempio di Salomone, distrutto dai legionari dell'imperatore Tito nel 70 dopo Cristo. La sua ricostruzione comporterebbe, come è evidente, la distruzione di due moschee. Un evento del genere, in quella che è la terza città santa dell'Islam, appare oggi del tutto improponibile ed ogni israeliano ragionevole al giorno d'oggi ne è convinto. Non si può, però, escludere che l'attuale dirigenza iraniana tema che con il tempo gruppi oltranzisti israeliani possano imporre le proprie politiche ed in un tal caso i capi di qualsiasi Paese islamico sarebbero automaticamente delegittimati per non aver saputo prevenire l'oltraggio. In un simile contesto la necessità di disporre di strumenti di deterrenza atomica nei confronti d'Israele annulla le differenze tra i governi islamici della regione e di fatto li salda ai gruppi islamici più radicali. Questo è dunque il fattore contingente decisivo per valutare le prospettive dell'andamento delle quotazioni petrolifere.
In assenza di fattori di rischio politico, in questo periodo dell'anno il prezzo del greggio dovrebbe essere circa 45/50 $/bbl (dollari al barile), inferiore, cioè, di 15/20 dollari rispetto alle quotazioni attuali. In condizioni normali, depurando le quotazioni dalle tensioni dovute all'esplosione della domanda cinese e di Paesi come l'India, fenomeno imprevisto fino a solo pochi anni fa, e depurandole inoltre dalla distorsione dovuta al mancato adeguamento tecnologico degli impianti di raffinazione, il prezzo d'equilibrio del greggio dovrebbe situarsi intorno ai 25/30 $/bbl (dollari al barile). Allo stato attuale dei fatti però, pur in assenza del precipitare degli eventi politici, si può ipotizzare che in agosto, con l'aumento, durante le vacanze, del consumo di carburanti per autoveicoli, soprattutto negli Stati Uniti, e con l'aumento del rischio di fermo della produzione a causa degli uragani in Texas e nel golfo del Messico, il prezzo potrebbe toccare anche gli 85/90 $/bbl. L'anno scorso, a causa dell'uragano Caterina, il 30 agosto le quotazioni, infatti, toccarono il record di 70 $/bbl.
Se Israele dovesse viceversa bombardare i siti nucleari iraniani è probabile che le quotazioni arriverebbero in breve tempo a superare i 100 $/bbl per toccare anche i 120 dollari al barile. In tal caso però le conseguenze che ne deriverebbero sarebbero veramente molte.
26/07/2017 12:16
25/07/2017 08:21