Teheran nega le violenze ai prigionieri che, anzi, “sono contenti”
Il presidente del Parlamento contesta le affermazioni di Karroubi, al quale chiede “le prove” delle violenze, mentre un gruppo di deputati riferisce di un’inchiesta in base alla quale i carcerati sarebbero “soddisfatti” di come vengono trattati. Ma la moglie di un ex viceministro in prigione parla di torture fisiche e psicologiche. Mousavi presenta i nomi di 69 persone uccise durante gli scontri.
Beirut (AsiaNews) – Nelle carceri iraniane non ci sono stati casi di violenze sessuali su detenuti che, anzi, “sono soddisfatti della loro situazione”. Sono le singolari risultanze di due interventi del presidente del Majlis, il Parlamento, e di una commissione parlamentare. Essi giungono contemporaneamente alle affermazioni della moglie di un ex viceministro sulle torture fisiche e psicologiche subite dal marito e alla presentazione da parte del leader “riformista” Mir Hossein Mousavi di un elenco contenente 69 nomi di persone uccise durante gli scontri seguiti alle elezioni presidenziali. Le autorità invece avevano dato un bilancio di circa 26 vittime.
E’ stato il presidente del Majlis, Ali Larijani – ritenuto uomo di fiducia della Guida suprema, Ali Khamenei – a replicare alle accuse lanciate da Mehdi Karroubi, leader dell’opposizione e candidato alla presidenza, che le guardie carcerarie hanno stuprato uomini e donne protagonisti delle proteste antigovernative, definendole “una vera menzogna”. Larijani ha anche chiesto a Karroubi di “presentare le prove” delle sue affermazioni.
Da parte sua, il presidente del Comitato parlamentare per la sicurezza nazionale e la politica estera, Alaeddin Boroujerdi, ha riferito di una indagine compiuta da un gruppo di deputati. Secondo la governativa Press Tv, egli ha sostenuto che la maggior parte delle lamentele dei prigionieri erano relative al centro di detenzione di Kahrizak, chiuso per ordine di Khamenei, mentre “tutti i prigionieri sono soddisfatti della loro situazione nella prigione di Evin” (nella foto: il muro di cinta). Evin, in realtà, è un carcere speciale, definito “la fabbrica delle torture”, nel quale, tra l’altro, è stata picchiata a morte la fotografa irano-canadese Zahra Kazemi, arrestata proprio perché stava scattando foto all’esterno del complesso, che ha due sezioni speciali “dedicate” ai detenuti politici.
Alle affermazioni dei parlamentari fa eco quanto afferma Fakhrossadat Mohtashamipour, moglie di Mostafa Tajzadeh, ex viceministro degli interni, attualmente in carcere. In un’intervista a Rooz, voce di esuli iraniani, la donna afferma di essere seriamente preoccupata per le torture fisiche e psichiche alle quali è sottoposto suo marito – col quale da prima delle elezioni ha potuto avere solo un breve colloquio telefonico - così come altri prigionieri politici.
Dalle Nazioni Unite, intanto, è venuta una precisazione sui contenuti di una lettera del segretario generale Ban Ki-moon ad Ajmadinejad. Non un messaggio di “congratulazioni” per la rielezione, ha detto una portavoce, Marie Okabe. “In occasione della inaugurazione” del nuovo mandato presidenziale, il segretario generale “esprime la speranza che l’Iran e le Nazioni Unite possano continuare a cooperare strettamente per le questioni regionali e globali”.
Cadute le “congratulazioni” di Ban Ki-moon, sulle quali le fonti ufficiali iraniane avevano posto molta enfasi, ad Ahmadinejad restano solo quelle giunte da Giappone, Turchia, Qatar e Russia. (PD)
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