Teheran, una società sotto controllo per le elezioni presidenziali
Teheran (AsiaNews) - Fra due giorni l'Iran andrà a votare per le elezioni presidenziali, senza troppa speranza e prostrati dalle difficoltà economiche dovute all'embargo. Il clima che si respira oggi è molto diverso da quello di quattro anni fa. Nel 2009 vi era un intenso dibattito e quando è stata annunciata la vittoria di Mahmoud Ahmadinejad le strade della capitale si sono riempiti di dimostranti che lo accusavano di brogli, dando origine al movimento dell'Onda Verde, la più grande contestazione al regime dai tempi di Khomeini.
La repressione che ne è seguita è stata grande: diverse persone sono state uccise per strada o in prigione; molti arrestati; Moussavi e Kharroubi, i leader del movimento agli arresti domiciliari; giornalisti e attivisti condannati a lunghe detenzioni.
Per evitare che queste elezioni creino problemi alla sicurezza, da tempo l'intelligence iraniana ha tagliato ogni possibile germoglio di rivolta, o di "sedizione".
Diversi mesi fa, lo scorso gennaio, almeno 17 giornalisti, che lavoravano per stampa o siti internet riformisti, sono stati arrestati. In febbraio tre pubblicazioni di tipo sociale e politico - il settimanale Aseman; i mensili Tajroben e Mehrnameh - tutte riformiste, sono state vietate. In aprile Il vice ministro della Guida islamica per la stampa ha inviato a tutte le testate un appello perché esercitino "autocontrollo" e siano "responsabili" nel pubblicare notizie. Chi non si adeguasse "sarà trattato con severità".
Il 18 maggio scorso è stato arrestato il giornalista Foad Sadeghi, direttore di Baztab Emruz, un sito riformista che aveva pubblicato rivelazioni sulla manipolazione dei voti avvenuta nel 2009 a favore di Ahmadinejad.
Ma nelle scorse settimane anche la stampa vicina al presidente uscente è stata colpita.
In tal modo, la maggior parte dei media si tiene lontana da ogni giudizio o critica e la parte del leone è fatta dalla televisione di Stato, che in queste settimane ha presentato diversi dibattiti fra i candidati. Ma a giudizio degli stessi, essi sono stati inutili.
Su centinaia di candidate presentatisi, la Guida islamica ne ha scelti solo otto. Alcuni si stanno ritirando in questi giorni. Fra i più significativi vi è il conservatore Ali Akbar Velayati, stretto consigliere dell'ayatollah Alì Khamenei. Ma secondo indiscrezioni, le preferenze di quest'ultimo vanno a un altro conservatore, Said Jalili, attuale capo dei negoziati sul nucleare iraniano. Jalili vuole continuare il braccio di ferro con la comunità internazionale per potenziare il programma nucleare del Paese, che molti sospettano abbia fini bellici. Jalili, 48 anni, veterano della guerra Iran-Iraq (1980-1988), in cui ha perduto una gamba, è famoso per la sua integrità, il modesto stile di vita, ma con una personalità blanda. I media di Stato lo favoriscono in tutti i modi.
L'unico candidato riformista - dopo l'abbandono di Mohammad Reza Aref - è Hassan Rohani (v. foto), 65 anni, religioso sciita, già capo dei negoziati per il nucleare ai tempi del riformista Khatami. Laureato in legge all'università di Teheran, ha anche ricevuto il dottorato a Glasgow. Nella sua campagna egli propone una maggiore libertà di stampa e un minor controllo sociale. Egli ha già detto che vuole indirizzare la società verso uno stile meno conflittuale con l'occidente. Già ai tempi di Khatami egli ha rivendicato la libertà per l'Iran di procedere col programma nucleare per scopi pacifici, lasciando l'agenzia Onu libera di fare tutti i controlli.
Il suo tono più conciliante verso l'occidente potrebbe essere una carta vincente: a causa dell'embargo, il Paese ha un'economia sempre più pericolante. Rohani afferma che il 31% di inflazione annua dell'Iran non è tanto dovuto all'embargo, ma all'inefficienza nazionale dei metodi di estrazione del petrolio, da lui attribuita all'uscente Ahmadinejad. In questi giorni Rohani ha ricevuto il sostegno degli ex presidenti Hashemi Rafsanjani e Mohammed Khatami.