Tamil Nadu, il laboratorio dell'economia indiana alla prova degli scioperi alla Samsung
Dal 9 settembre circa 1.000 lavoratori chiedono stipendi più alti e un proprio sindacato di riferimento. Lo Stato dell'India meridionale dagli anni '90 è un importante polo industriale di produzione tecnologica; ma - a differenza di altre realtà dove la crescita è solo economica - è aumentato anche il benessere sociale. Soprattutto grazie a politiche che non tengono conto di caste e religione.
Chennai (AsiaNews/Agenzie) - Da circa tre settimane i lavoratori indiani dello stabilimento della Samsung nello Stato meridionale del Tamil Nadu sono in sciopero per chiedere salari più alti e il riconoscimento del loro sindacato. Circa 1.000 lavoratori su un totale di 1.800 hanno sospeso la produzione e nei giorni scorsi il ministro del Lavoro del governo federale ha chiesto al chief minister del Tamil Nadu, M.K. Stalin, di risolvere la situazione in maniera “rapida e amichevole”, secondo quanto affermato da una fonte.
I lavoratori guadagnano in media 25mila rupie (300 dollari) al mese e chiedono che nell’arco di tre anni si arrivi a 36mila (430 dollari), ma vorrebbero che la contrattazione venisse seguita dal Samsung India Labour Welfare Union, un loro sindacato di recente formazione.
Lo stabilimento di Chennai è uno dei due stabilimenti di Samsung in India, produce soprattutto elettrodomestici e contribuisce a un terzo del fatturato dell’azienda sudcoreana in India, pari a 12 miliardi di dollari.
La Samsung ha affermato che i salari sono già alti, quasi il doppio rispetto a quelli concessi dalle altre società che si trovano nella stessa area (tra cui Foxconn e Dell) ai propri lavoratori. “Da quando è stata fondata la fabbrica, i dipendenti hanno lavorato senza lamentele e senza un sindacato. Ma le cose sono peggiorate negli ultimi due anni e ora abbiamo bisogno del sostegno di un sindacato”, ha detto alla BBC un manifestante.
Le proteste del Tamil Nadu sono sostenute dal Centre of Indian Trade Unions (Citu), che a sua volta gode dell’appoggio del Partito comunista d’India (marxista). Diverse multinazionali che hanno aperto stabilimenti in India si oppongono all’adesione dei lavoratori a sindacati esterni appoggiati dai partiti locali di sinistra e per impedirne la creazione fanno in modo che ci sia una certa rotazione tra gli operai, assumendo giovani non qualificati provenienti dalle aree rurali a tempo determinato, hanno spiegato alcuni membri del Citu.
Le rivolte sindacali, iniziate il 9 settembre, sono viste come un ostacolo alle ambizioni del primo ministro Narendra Modi che, proponendosi come un’alternativa alla Cina, vuole triplicare la produzione elettronica, arrivando a 500 miliardi di dollari in sei anni.
Il Tamil Nadu è uno dei maggiori centri industriali dell’India. Lo scorso anno la Foxconn, tra le più grandi aziende produttrici di componenti elettronici per altre società di elettronica - in primis la Apple - ha investito 1,5 miliardi di dollari nello Stato meridionale.
Anche se gli esperti concordano sul fatto che l'India sia ancora molto indietro rispetto alla Cina, che ha una lunga tradizione di produzione in serie di prodotti elettronici, il Tamil Nadu è il primo Stato indiano per numero di fabbriche, con quasi 40mila stabilimenti. Una crescita industriale che è stata possibile grazie all’applicazione del cosiddetto modello dravidico, una teoria a cui si ispira il governo locale, in contrasto con le idee del premier Modi, promotore di quello che viene definito, al contrario, il “modello Gujarat”. Il riferimento è allo Stato in cui Modi è stato a lungo chief minister, portando a una rapida crescita economica.
Il Dravida Munnetra Kazhagam, il partito da decenni al potere nel Tamil Nadu, invece, promuove lo sviluppo industriale sostenibile e l’uguaglianza tra la popolazione come elementi chiave per la prosperità. Il movimento dravidico, fondato negli anni ‘20 del Novecento, ha da sempre proposto lo smantellamento dell'egemonia dei bramini, la rivitalizzazione delle lingue dravidiche (parlate soprattutto nel Sud dell’India), la posizione paritaria della donna nella società e l'abolizione delle caste.
Diversi studi sembrano confermare il successo di questo modello di sviluppo: nei primi anni ‘60 il Tamil Nadu aveva uno dei più alti tassi di povertà e dei più bassi tassi di crescita pro capite dell’India. Nel 2011 la situazione era ribaltata, con un PIL pro capite di 2,5 volte maggiore rispetto al resto del Paese, alti tassi di iscrizione nel ciclo scolastico e un livello di povertà del 4,5%, un unicum in India. Gli altri Stati indiani a densa industrializzazione, il Gujarat e il Maharashtra (a lungo governati dal BJP) non presentano dati socio-economico così buoni (nel Gujarat per esempio, il tasso di povertà è del 18%) mentre gli altri Stati meridionali più sviluppati a livello sociale, come il Kerala, di solito mancano di industrie competitive. Nel 2022-2023 la crescita economica del Tamil Nadu è stata di oltre l’8% contro il 7,2% dell’intera nazione.
Secondo gli esperti, si tratta di un progresso favorito da una politica sulla tecnologia dell’informazione attuata nel 1996 e che ha portato lo Stato a essere, lo scorso anno, uno dei principali esportatori di prodotti tecnologici con un fatturato di oltre 9 miliardi di dollari. Non solo: a differenza del Gujarat e del Maharashtra, i centri industriali sono stati diversificati e sparpagliati in maniera uniforme sul territorio, e non concentrati in poche grandi città.
Il Tamil Nadu è anche lo Stato con il più alto numero di imprenditori provenienti da classi svantaggiate, come i dalit, grazie a programmi di distrubuzione delle risorse che non tengono in considerazione l’etnia, la casta o la religione di appartenenza. Allo stesso modo, per esempio, il tasso di occupazione femminile è il più alto della nazione, grazie a un programma che garantisce mille rupie a tutte le bambine che proseguono gli studi, indipendentemente dal contesto socio-familiare di provenienza.
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