05/06/2024, 12.06
ITALIA - GAZA
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Suor Nabila: Gaza, dove la fede è più forte delle bombe

di Dario Salvi

Ieri al Centro Pime di Milano la testimonianza della religiosa che per sei mesi ha vissuto le brutalità della Striscia. Una guerra “improvvisa”, di una violenza superiore a quelle del passato che ha fatto “cadere il velo dei diritti umani”. Le vittime cristiane, la distruzione della scuola delle Rosary Sisters. La sfida dell'incontro tra bambini che nella loro vita hanno sperimentato solo il conflitto e sviluppato una forte aggressività. 

Milano (AsiaNews) - La fede e la speranza “non sono mai venute meno”, anche nei “giorni terribili” quando l’esercito israeliano “bombardava vicino a noi”, nei pressi della parrocchia della Sacra Famiglia, con persone della comunità “ferite da schegge” che non si potevano curare “perché mancano ospedali e medicine”. È quanto racconta ad AsiaNews suor Nabila Saleh, religiosa di origine egiziana delle Rosary Sisters, che ha vissuto in prima persona il conflitto fra lo Stato ebraico e Hamas a Gaza, e solo ai primi di aprile è riuscita a lasciare la Striscia con un gruppo di parrocchiani. Momenti terribili come l’attacco alla chiesa greco-ortodossa di san Porfirio: “Siamo corsi subito per vedere come stavano - ricorda - perché ci conosciamo tutti fra cristiani. E ancora, quando [i cecchini israeliani] hanno ucciso le due donne davanti ai nostri occhi… io stessa ho aiutato la nuora a recuperare il cadavere dell’anziana, poi abbiamo atteso da mezzogiorno alle quattro del pomeriggio prima di poter riprendere anche il secondo corpo”. 

A differenza di altre guerre del passato nella Striscia, che si sono consumate in un arco di tempo inferiore e con minore intensità, questa volta “è giunta improvvisa, niente la faceva presagire, e nessun posto può essere considerato sicuro. Stavolta - racconta la religiosa - hanno colpito dappertutto”. I vertici di Israele “sapevano che noi cristiani eravamo sfollati all’interno delle chiese ed è stato uno shock” capire di non essere immuni dagli attacchi, dalle bombe: “Non credevamo sarebbe successo, come quando sono entrati coi carri armati a Zeitoun [quartiere in cui sorge la parrocchia latina] e, alle loro spalle, vi erano i cecchini che colpivano in maniera deliberata”.

Suor Nabila Saleh ha vissuto 13 anni a Gaza e ha sperimentato sulla propria pelle le violenze del conflitto israelo-palestinese, sebbene l’intensità della guerra innescata dall’attacco di Hamas del 7 ottobre non abbia eguali rispetto al passato. La religiosa ha trascorso oltre sei mesi come rifugiata nella chiesa della Sacra Famiglia assieme a oltre 650 sfollati cristiani, sotto le bombe e in condizioni umanitarie disperate, prendendosi cura dei più fragili. Ieri sera ha raccontato la propria esperienza al Centro Pime di Milano (guarda qui il video integrale della sua testimonianza) assieme ad alcune consorelle fra le quali suor Bertilla Murj e suor Martina Bader, giordane, che hanno operato a lungo in passato nella Striscia. Questa mattina - in un incontro privato - ha anche ricevuto dall'arcivescovo di Milano mons. Mario Delpini il premio "Fuoco dentro" promosso dalla Chiesa ambrosiana per "Donne e uomini che cambiano il mondo”. 

La “fede” mostrata da tutti è stata “la fonte della nostra speranza: durante i bombardamenti andavamo in chiesa e recitavamo il rosario, con la gente che gridava, piangeva e pregava” non sapendo se sarebbe sopravvissuta. “Per me - prosegue - sono stati mesi molto duri” in cui ha imparato che “nulla al mondo vale, solo il Signore. Non le ricchezze, i beni di cui non resta nulla. Per loro ho cercato di rappresentare la fede che deriva dal Signore, ad avere speranza, anche se io stessa ho avuto paura e ho pianto”. Un valore della vita ancora più grande “quando vedi attorno a te cadaveri e devastazione ovunque, persone seppellite, altri che muoiono per mancanza di cure” anche per malattie facilmente risolvibili altrove. 

Fra quanti soffrono vi sono prima di tutto i bambini, come conferma la religiosa il cui ordine ha fondato una scuola a Gaza apprezzata da tutta la comunità, frequentata in maggioranza da famiglie musulmane in cui gli stessi capi di Hamas hanno iscritto i loro figli. “I bambini hanno vissuto cinque guerre in pochi anni e ne portano le conseguenze. Pensa anche solo a un bambino di 10 anni - racconta suor Nabila - che ha conosciuto solo violenze. Nella scuola troviamo una forte aggressività, per questo abbiamo avviato programmi educativi per cercare di affrontare questa problematica. In questi mesi di guerra abbiamo cercato di farli giocare, nonostante gli orrori”. La stessa scuola delle Rosary Sisters ha riportato gravi danni nei bombardamenti, serviranno almeno tre milioni di dollari solo per sistemare le mura, fra le 37mila vittime del conflitto vi sono tre insegnanti e diversi allievi dell’istituto. “In parrocchia abbiamo provato a organizzare delle lezioni, ma era impossibile per l’intensità degli attacchi. Quale futuro - si domanda suor Nabila - si può immaginare per questi bambini?…”. 

La religiosa ha lasciato la Striscia ai primi di aprile, assieme ad un gruppo di cristiani, viaggiando da Gaza City al valico di Rafah non senza rischi e pericoli per la propria incolumità. “Sono stati mesi durissimi, all’inizio solo il re di Giordania aveva inviato alcuni aiuti dal cielo e i nostri giovani rischiavano la vita per recuperarli”. Fra i pochi momenti di gioia e consolazione la visita del patriarca Pierbattista Pizzaballa e il ritorno del parroco p. Gabriel Romanelli a metà maggio, anche se “il vice-parrocco p. Yousef Asad ha fatto un grande lavoro”. “Certo, la presenza del cardinale - sottolinea la suora - è stata molto importante, perché vedere che il capo della Chiesa, anche in questi tempi difficili, ha il coraggio di andarli a trovare è una fonte di grazia e infonde coraggio, laddove prevale il desiderio di fuggire”. 

Interpellata sulle richieste avanzate oggi dalla popolazione di Gaza, suor Nabila afferma convinta: “La pace!”. “È molto difficile vivere sempre in guerra. Abbiamo sentito la mancanza delle voci che veramente lavorano per la pace”. Papa Francesco “la chiede sempre, ma i potenti non lo hanno fatto. Tutti i gazawi dicono che con questa guerra è caduto il velo dei diritti umani. Tutti e due i popoli hanno diritto vivere in pace” e la speranza è che “questa guerra chiuda il libro di tutte le guerre. La gente - conclude la religiosa - oggi non pensa ad Hamas o a Fatah. Pensa a come essere vivi domani, a come dare da mangiare ai propri figli”. 

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