Suor Adriana Bricchi: la fede che genera cultura
di Pino Cazzaniga
Alla vigilia degli ottant’anni , la religiosa, a Seoul dl 1959, non può andare in “pensione” perchè invitata a rispondere a una nuova chiamata missionaria: la Mongolia.
Seoul (AsiaNews) - Cinquant’anni fa in Italia quando si voleva indicare sinteticamente una regione malmessa si era soliti dire “e’ una Corea”. Oggi la Corea del sud ad ogni livello è tra le nazioni piu sviluppate dell’Estremo oriente. L’energia che ha permesso l’allora inimmaginabile “miracolo economico e democratico” non e’ scaturita tanto dall’aiuto esterno quanto dal potenziale culturale e spirituale del suo popolo.
Lo sapeva bene Park Jung-hee (1917-79), che pur avendo governato con pesante mano dittatoriale per circa vent’anni , ha amato la nazione, è stato personalmente pulito e politicamente lungimirante: per lui cultura e istruzione, assieme al lavoro, sono stati i pilastri fondamentali della ricostruzione. Il popolo gli è grato. Ciò che invece è poco noto è l’apporto indiretto ma non meno profondo dei missionari/e. Un’intervista con Adriana Bricchi, una religiosa italiana, missionaria in Corea da cinquant’anni, ce l’ha rivelato.
Spontaneità di una vocazione eccezionale
Adriana non desidera che si parli di lei. “Non voglio rubare la gloria al Signore”, mi ha detto tutte le volte che ho tentato di esprimere una qualche ammirazione. Ma senza precisi riferimenti biografici non apparirebbe ciò che essa è diventata: l’icona delle fede che genera cultura.
Se il filosofo Benedetto Croce avesse incontrato questa suora salesiana, si sarebbe ben guardato dal definire la teologia “parole che riguardano cose la cui esistenza non si conosce”. La vita della nostra missionaria è tutt’altro che “una cosa di cui non si conosce l’esistenza” ma , con buona pace del filosofo italiano, per esprimerla non c’è che il linguaggio teologico.
Adriana aveva 17 anni quando, durante un momento di preghiera sentì una forte ispirazione a dedicare tutta la vita all’ideale religioso. I cattolici chiamano questo tipo di esperienza “vocazione”, cioè chiamata,.
“Quell’esperienza - dice la missionaria - non l’ho vissuta come un’ispirazione religiosa generica, ma come un invito libero da parte di una Persona vivente: il Signore. Non è che fossi indifferente al matrimonio. L’ambiente felice della mia famiglia era l’immagine del mio futuro. Ma alla proposta divina, libera e forte, ho risposto con gioia”.
Dagli avvenimenti come si sono svolti in progressione, ma senza cambiamenti di rotta si è indotti a ritenere che quella esperienza è stata come il nucleo germinale di tutta la esistenza della suora missionaria.
Don Bosco e la Corea.
Diciamo missionaria post factum, perchè Adriana si è fatta religiosa solo per seguire lo Sposo. Alle missioni estere non pensava direttamente. Ma la Provvidenza, noi diciamo, l’ha portata su questa via. I suoi genitori, pur non benestanti, hanno scelto per lei e le sue sorelle non una scuola statale ma un istituto diretto dalle salesiane, il ramo femminile dell’ordine religioso fondato nel secolo XIX da un sacerdote di Torino (Italia), Giovanni Bosco uomo geniale oltre che santo.
Consacrarsi all’educazione spirituale , culturale e professionale dei giovani è stato suo carisma, che, grazie ai due istituti nati per sua iniziativa, si è diffuso in tutto il mondo, e con esso, osiamo dire, anche l’influsso della cultura italiana. Sul frontone dell’entrata del complesso edilizio delle suore salesiane a Seoul sotto il titolo scritto in coreano si legge, in italiano, “Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice”. La linea franca nei conventi salesiani non è l’inglese ma l’italiano.
Dato il lungo periodo di formazione morale e intellettuale nelle scuole salesiane, per Adriana la scelta dell’ordine religioso dove vivere la sua consacrazione è stata semplice: le Figlie di Maria Ausiliatrice.
Lo shock della Corea
Nel 1959 la giovane suora è assegnata alla missione della Corea. Lo shock dei genitori e familiari è stato grande. “Ma proprio in Corea devono mandarti!”, dissero. Adriana, invece, ricordando l’esperienza religiosa di 10 anni prima, ha risposto interiormente con umorismo, ripetendo a se stessa un detto corrente nell’ambiente della Lombardia: “Ho fatto 30, facciamo anche 31”.
Nel 1957 le suore salesiane in Giappone, celebrando il 30mo anniverario della loro permanenza nel Paese del Sol Levante, avevano deciso di aprire una missione in Corea , perchè richieste da alcuni vescovi , inviandovi un drappello di religiose in avanguardia. Suor Adriana con altre quattro suore italiane le ha raggiunte nel dicembre del 1959.
La fratricida guerra coreana (1950-53) aveva decimato la popolazione (due milioni di morti) della penisola e distrutti gli edifici della nazione. “A Seoul - ricorda Adriana - c’erano solo quattro edifici degni di questo nome: la stazione ferroviaria, il comune, la banca e l’ospedale cattolico. Il resto era solo un’accozzaglia di capanne costruite con lamiere e tetti di paglia, che il maestoso fiume Han, allora senza argini, periodicamente spazzava via.
Grazie alla politica preveggente di Park Jung-hee quella città è diventata una metropoli ordinata e efficiente di oltre 11 milioni di abitanti: i quartieri a sud del fiume con giardini e strade maestose fanno invidia alla stessa Tokyo. Ma su quelle strade hanno lavorato decine di migliaia di donne. In tale contesto le suore salesiane, bene accolte dal governo, per la loro opera educativa si sono impegnate a fondo per infondere coraggio alle mamme e dar istruzione ai bambini
L’opera di animazione diffusa in tutta la nazione
Nel 2007 le Figlie di Maria Ausiliatrice (salesiane) hanno celebrato il 50mo anniversario della loro presenza in Corea. In quell’occasione Adriana deve aver sentito pace e anche soddisfazione. La sofferenza del drappello iniziale non è stata vana. Il drappello è diventato una “ispettoria” di 240 suore coreane distribuite in 28 centri nelle principali città della penisola. Particolarmente espressivo della loro identità è il loro centro a Seoul: un complesso di quattro “case” che, a parte la residenza delle suore, sono tutte adibite all’educazione di donne che l’istruzione non l’hanno avuta. Sono un “centro culturale” dove viene offerta gratuitamente istruzione a 240 mamme; un consultorio di psicologia per mamme problematiche; un giardino di infanzia per bambini che non trovano posto negli asili comuni.
Ora non ci sono più donne che lavorano sulle strade, ma nell’ultimo decennio sono emerse altre due categorie di donne emarginate: le immigrate straniere venute qui per lavoro o per legami coniugali e le profughe del nord. Queste, per quanto possa sembrare incredibile, non sono fuggite dal Nord per trovare il “paradiso” nel sud, ma semplicemente per non morire di fame. Orgogliose, non accettano facilmente la compagnia delle “sorelle” del sud e viceversa. Ad esse le suore salesiane offrono casa e assistenza gratis.
La tappa della Mongolia
Suor Adriana, alla vigilia degli ottant’anni , non può andare in “pensione” perchè invitata a rispondere a una nuova chiamata: la Mongolia. Questa, diventata nazione indipendente, dopo il crollo dell’Unione Sovietica, si è trovata bisognosa di tutto, specialmente nel settore dell’educazione. La Santa Sede ha invitato alcuni istituti missionari a mandarvi personale. Tre anni fa le suore salesiane coreane in occasione della celebrazione del cinquantesimo anniversario (1957-2007) del loro inserimento della penisola, hanno deciso di rispondere all’invito inviando alcune consorelle a Ulaanbaatar (nella foto).
Le difficoltà incontrate non sembrano lievi. Per aiutare a superarle, il vertice direttivo ha osato chiedere all’anziana suora di mettere a disposizione della giovane comunità “mongola”, per alcuni mesi, bontà e capacità organizzative. E così suor Adriana fra una settimana riprenderà il “viaggio missionario” lieta di continuare a generare cultura attraverso la fede.
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