Sudan: ribelli antigoverno rapiscono 9 lavoratori cinesi del petrolio
Pechino (AsiaNews/Agenzie) – Nove dipendenti petroliferi cinesi sono stati rapiti a Kordofan (Sudan meridionale) il 18 ottobre sera, insieme a 2 autisti sudanesi. I rapitori hanno poi liberato uno degli autisti con un comunicato scritto nel quale chiedono “un accordo per partecipare” ai benefici per lo sfruttamento dei ricchi giacimenti di petrolio.
Il direttore del protocollo presso il ministero sudanese degli Esteri Ali Yousuf ha assicurato che sono in corso estese ricerche, ma che non ci sono stati finora “contatti” con i rapitori.
Il rapimento è avvenuto in una zona petrolifera presso il distretto di Abvei, sfruttato dalla Greater Nile Petroleum Operating Company, consorzio di 4 ditte di Cina (la statale China National Petroleum Corporation, che ne è leader), India, Malaysia e Sudan. Da qui il Consorzio estrae oltre 300mila barili di greggio al giorno.
La zona è vicina al Darfur, regione ricca di petrolio dove da anni è in atto un vero genocidio della popolazione ad opera del governo sudanese. Fonti Onu parlano di quasi 300mila morti e più di 2 milioni di profughi dal 2003. Per questo la comunità internazionale ha posto un embargo al commercio con Khartoum, embargo cui non aderiscono Cina e Russia, accusate di vendere armi che il Sudan usa anche in Darfur. Pechino, primo partner commerciale del Sudan, risponde che il commercio va “a vantaggio” della popolazione civile.
I ribelli della zona accusano Pechino di aiutare Khartoum e hanno già assalito più volte le installazioni petroliferi cinesi di Kordofan: 2 settimane fa il campo cinese è stato depredato di ogni cosa, “compresi letti e lenzuola”. A maggio sono stati rapiti 4 lavoratori indiani, poi liberati. Peraltro l’analista arabo Walid Khadduri osserva che, anche se l’industria petrolifera in Sudan è tra le più pericolose al mondo, le ditte estere non andranno via: “in Nigeria i lavoratori petroliferi sono stati rapiti e uccisi… ma l’investimento non è cessato”.
La Cina da molti anni è attiva nel comprare energia e materie prime in Africa (metalli, minerali, persino legname e avorio), commerciando anche con governi corrotti come lo Zimbabwe. Pechino dice di agire in modo “non colonialista e paritario” (“win-win”, “50-50” ama ripetere) verso i Paesi africani. Di fatto non chiede di verificare, come fa l’Occidente, che il denaro vada ad effettivo vantaggio della popolazione, piuttosto che dei gruppi al potere; spesso, poi, paga le preziose materie prime con la costruzione di infrastrutture (strade, ponti, edifici) per le quali utilizza ditte cinesi con maestranze, operai specializzati e persino materiali made-in-China, usufruendo delle risorse locali solo per la bassa manovalanza. Il commercio Cina-Africa è stato di 73,3 miliardi di dollari nel 2007, con un aumento del 32,2% rispetto al 2006.