Sri Lanka: tre anni di prigione e torture, ma era innocente
Colombo (AsiaNews) - "Come sospetto terrorista, sono stato portato alla stazione di polizia di Teldeniya. Lì, sotto gli occhi di mia madre, una decina di agenti mi ha preso a calci e pugni. Avevo bruciature sulle gambe e ferite ovunque. I poliziotti mi hanno torturato per tutta la notte". Inizia così la testimonianza di Muralitheran Raaja, detto Murali, giovane originario di Kandy (Central Province, Sri Lanka), arrestato e incarcerato secondo il Prevention Terrorist Act (Pta), la legge che permette di tenere in stato di fermo chiunque abbia legami (anche solo presunti) con i ribelli Ltte (Liberation Tigers of Tamil Eelam). Dopo tre anni in prigione, l'8 dicembre 2011 l'Alta corte di Jaffna ha ordinato il suo rilascio senza cauzione.
Muralitharan appartiene a una famiglia indù, ma si definisce un forte credente in Gesù Cristo. Di nuovo libero, egli ha trovato l'aiuto e il sostegno di p. Nandana Manatunge, che dirige l'ufficio per i diritti umani della diocesi di Kandy. Dopo un lungo processo di elaborazione, il giovane ha deciso di condividere la sua drammatica esperienza nel corso di un seminario dedicato ai sopravvissuti alla guerra civile, a cui hanno partecipato circa 60 persone. Al raduno, tenutosi alla Fatima Retreat House Lewella (Kandy), egli ha partecipato insieme ai suoi genitori.
"Dopo Teldeniya - prosegue Muralitharan -, sono stato detenuto nella stazione di Manikhinna per quattro mesi. Il 25 settembre 2008 ho incontrato per la prima volta il magistrato di Kandy, che ha ordinato il mio trasferimento alla prigione di Bogambara. Lì non sono mai stato visitato dall'Ufficiale medico giudiziario, né ho mai ricevuto alcun trattamento per le ferite che avevo. Alla fine, la procura ha depositato le accuse contro di me all'Alta corte di Jaffna. Dopo cinque udienze, il tribunale ha ordinato la mia liberazione l'8 dicembre 2011, scagionandomi da ogni accusa".
Terminata la testimonianza del ragazzo, p. Manatunge ha preso la parola: "Le condizioni delle prigioni in Sri Lanka sono raccapriccianti. Il solo fatto di trovarsi chiusi in un carcere giudiziario con una folla di persone, è una tortura fisica e mentale. Ho conosciuto Murali quando era in prigione a Bogambara, e ho potuto comprendere quanta sofferenza egli ha dovuto subire. Molti credono giusto che i detenuti debbano vivere in condizioni disumane, salvo poi affermare che [anche loro] sono esseri umani".
Secondo il sacerdote, anche se "Murali è stato forte, è riuscito a sopravvivere, e oggi è qui a parlarne con noi", è necessario "lanciare una campagna per chiedere al governo di firmare l'Opcat (Optional Protocol to the Convention against Torture), dell'ufficio dell'Alto commissario Onu per i diritti umani (Unhcr), e rendere le carceri del Paese un luogo vivibile".