Sri Lanka: popolazione "terrorizzata" dopo il massacro di una famiglia Tamil
In migliaia ai funerali di un'intera famiglia uccisa vicino a Vankalai. Esercito e ribelli si accusano a vicenda. Il parroco: qui si uccide indiscriminatamente, siamo atterriti. E la situazione non fa ben sperare.
Vankalai (AsiaNews) Il recente massacro di un'altra famiglia Tamil nel nord dello Sri Lanka ha gettato la popolazione nel terrore. Martin Moorthy, un carpentiere, sua moglie Chitra e i loro due figli di 9 e 6 anni, sono stati uccisi l'8 giugno a Thomaspuri, villaggio vicino a Vankalai, nel distretto di Mannar. Per l'accaduto si scambiano accuse reciproche esercito governativo e ribelli delle Tigri Tamil.
Contattato da AsiaNews, p. Victor Avithappar, parroco di Vankalai, racconta la "paura" e la "rabbia" dei civili dopo quest'ultima violenza nel tormentato nord-est del Paese: "La gente è terrorizzata, non ci si sente al sicuro, vogliamo tutti la pace e un vita libera dall'angoscia". "Ognuno continua ribolle dentro, ma si ha paura di mostrarlo, perché qualcuno potrebbe vendicarsi, prima o poi".
Migliaia di persone hanno partecipato ai funerali della famiglia, officiati dal vescovo di Mannar, mons. Rayappu Jospeh, lo scorso 10 giugno nella parrocchia di Sant'Anna.
Anni fa le vittime si erano rifugiate in Tamil Nadu, India del sud. Chitra era cresciuta qui e gli operatori del Jesuit Refugees Service la ricordano come un'insegnante appassionata. La donna aveva lavorato in una delle loro scuole nei campi d'accoglienza. La famiglia era poi tornata in Sri Lanka nel 2002 dopo la firma del cessate-il-fuoco tra governo e ribelli, che faceva sperare in una maggiore sicurezza.
Quella di Chitra non è la prima famiglia ad essere massacrata nella recrudescenza della guerra civile in atto nel Paese. Il mese scorso la stessa sorte è toccata ad una famiglia dell'isolotto di Kayts, a largo di Jaffna, sempre nel nord. Ogni giorno nelle zone del nord-est si registrano uccisioni di civili. La crudeltà e la spietatezza degli omicidi cresce e non risparmia nessuno: neppure donne e bambini.
Ancora non è chiaro chi sia il colpevole della strage a Vankalai. Molti degli abitanti locali accusano l'esercito; testimoni dichiarano di aver visto quel giorno alcuni militari nella zona, che chiedevano informazioni. P. Avithappar tiene, però, a sottolineare che "non si può dire chi è stato", in quanto non esistono testimoni oculari del delitto, avvenuto a notte fonda. E aggiunge: "Questa zona è sotto il controllo dell'esercito, i soldati sono ovunque".
Dall'inizio di giugno, centinaia di abitanti dai villaggi vicini a Vankalai trascorrono la notte presso la chiesa di Sant'Anna. Hanno paura di rimanere a casa dopo che i militari hanno bombardato la zona, come rappresaglia per la morte di un loro commilitone nello scoppio di una mina Claymore.
Il fallimento dei colloqui della scorsa settimana a Oslo tra ribelli del Liberation Tigers of Tamil Eelam (Ltte) e Colombo ha lasciato "pietrificata" la popolazione. "Se le cose peggiorano spiega p. Avithappar ci troveremo in una situazione veramente terribile. Prego i responsabili di queste violenze di fermarsi il prima possibile".
Nessuno, però, sembra ascoltare il grido di questa gente: l'esercito e le Ltte non hanno preso alcuna misura concreta per garantire sicurezza. Al contrario: entrambi usano gli omicidi di innocenti per gettare fango sull'altro e arroccarsi ancora di più sulle proprie posizioni.