Sri Lanka: il governo nega ai tamil anche il diritto a cantare l’inno nazionale nella loro lingua
Il ministro Wimal Weerawansa ha dichiarato, a sostegno di tale decisione, che in nessun altro Paese l’inno nazionale viene cantato in più lingue, nemmeno in quelli dove c’è diffuso plurilinguismo. E ha riportato l’esempio dell’India, dove l’inno viene cantato in hindi nonostante le centinaia di lingue parlate nello Stato.
P. Terence Fernando, cappellano per i diritti umani dell’arcidiocesi di Colombo, legge la decisione del governo come “un segno molto chiaro che i regimi singalesi non sono affatto disposti a concedere i giusti diritti delle minoranze, e a trattarle come cittadini uguali di questo Paese. Come sappiamo la versione tamil dell’inno nazionale è la traduzione esatta della versione singalese, dall’indipendenza. Perché questa fretta e voglia improvvisa di abolire quella in lingua tamil? L’esempio dell’India portato dal ministro Weerawansa dimostra la sua ignoranza: l’inno nazionale indiano infatti non è cantato in hindi ma in bengali, perché è stato composto dal premio Nobel Rabindranath Tagore, originario del Bengala”.
L’avvocato e attivista per i diritti umani Nimalka Fernando si è detta non sorpresa di questa decisione: “I politici di questo Paese non riconoscono i diritti delle minoranze, né la necessità di identificare le loro esigenze più urgenti. Oltretutto il fatto che lo Sri Lanka abbia sostenuto il governo cinese, boicottando la cerimonia di premiazione del Nobel, la dice lunga su come verranno affrontati qui i diritti umani nel prossimo periodo. La Cina non solo ha represso le minoranze, ma è diventata una forza imperialista in Asia investendo soldi ovunque, e sviluppando i suoi tentacoli in tutto il continente. Invece lo Sri Lanka deve mobilitarsi contro la Cina, come abbiamo fatto in passato contro l’imperialismo degli Stati Uniti”. E ha aggiunto: “Non ci può essere integrazione sociale senza creare un ambiente dove si rispettano le identità e le lingue nazionali”.
Un sacerdote tamil ex provinciale dei gesuiti in Sri Lanka, p. S. Maria Anthony, sottolinea che: “La proposta di avere l’inno nazionale solo in singalese non può essere accettata. Il messaggio che viene dato è che i tamil devono accettare la decisione, senza potersi opporre: ma questo non contribuisce a spianare una strada della riconciliazione e della pace che sia basata sulla giustizia”.
L’attivista sociale buddista Weligama Dhammissara Thero, ritiene che la questione sia molto semplice: “Nelle zone a maggioranza tamil del Paese, la popolazione deve poter cantare l’inno nazionale nella sua lingua. Non esiste un inno di prima classe e uno di seconda, ma un inno nazionale in due lingue. I tamil non capiscono il singalese, ed è loro diritto non solo cantare ma anche lavorare nella lingua che sono in grado di comprendere. Non ci vedo nulla di male o di sbagliato, in questo”.
Jehan Perera, direttore del National Peace Council, ha dichiarato: “Bisogna prendere atto che il linguaggio può essere un potente strumento di unione come di disunione, all’interno di un Paese. Quando in Sri Lanka, a metà degli anni ’50, si è deciso di sostituire l’inglese come lingua ufficiale, l’allora ministro Colvin R. de Silva disse che era una scelta tra “due lingue e una nazione, o una lingua e due nazioni”. La questione linguistica tamil-singalese ha creato una spaccatura nella società dello Sri Lanka, ed è stato un presagio della trentennale guerra che è seguita. Questo Paese deve imparare dal passato. Minacciare una lingua, o metterla in secondo piano rispetto a un’altra, può essere vista come una svalutazione di una delle due comunità. Soprattutto ora, nel dopoguerra, il governo deve prendere in considerazione la questione della coesistenza tra la sua maggioranza etnica e le comunità di minoranza, e garantire che tutti si sentano uguali cittadini”.