Slitta di almeno sei mesi il referendum su Kirkuk
L’articolo 140 della Costituzione irachena è legato alla normalizzazione della situazione a Kirkuk, dove convivono curdi, turcomannni, arabi e cristiani. Il voto popolare deve stabilire se la città sarà annessa alla regione semiautonoma del Kurdistan o farà parte di una provincia sotto l’amministrazione del governo centrale. Lo stesso articolo, inoltre, promette di allontanare - dietro indennizzo - i coloni arabi trasferiti da Saddam Hussein, e di riportare i curdi in città. Ma gli interessi in gioco sono molti e troppo alti e l’appuntamento elettorale spaventa molti. Il problema è legato alle risorse energetiche. Kirkuk si sviluppa sul secondo giacimento petrolifero dell’Iraq e possiede il 70 per cento dei depositi di gas naturale della nazione. Il rischio è che se il referendum affiderà ai curdi l’amministrazione della città, questi disporrebbero di una risorsa vitale e sufficiente a garantire una loro eventuale indipendenza dal resto dell'Iraq. Tale prospettiva non piace prima di tutto alla Turchia, timorosa di conseguenti possibili spinte indipendentiste delle popolazioni curde all’interno dei suoi confini. Il voto è osteggiato pure dalle comunità arabe che popolano la città. Anche l’Iran è contrario all’eventualità e gli stessi Stati Uniti temporeggiano nel timore che si accenda un nuovo fronte di violenze nel “pacifico” nord.
08/02/2007
29/12/2017 08:54