Siria sempre più isolata, Turchia e Arabia Saudita per un intervento stile Libia
Ankara minaccia i tagli alle forniture di energia elettrica e annuncia la fine tragica di Assad. In corso a Rabat il vertice della Lega Araba, per espellere la Siria. Giunti a Damasco i 500 osservatori della Lega, incaricati di verificare la situazione dei civili. Ribelli armati assaltano una base militare ad Harasta.
Damasco (AsiaNews/ Agenzie) –Turchia e Paesi arabi si scagliano contro il governo siriano e invitano il presidente Assad a lasciare il potere e fermare le violenze contro gli oppositori. Oggi il Primo ministro turco Erdogan ha minacciato di tagliare l’energia elettrica allo storico alleato siriano, dichiarando che “Bashar al Assad assisterà alla fine tragica di chi ha dichiarato guerra contro il suo stesso popolo”. La Turchia ha già sospeso gran parte dei finanziamenti al regime di Damasco, appoggia l’espulsione della Siria dalla Lega Araba e al momento non esclude il sostegno armato dell’opposizione. Oggi formazioni ribelli hanno assaltato una base militare del regime ad Harasta (Sud ovest del Paese).
Intanto, a Rabat (Marocco) la Lega Araba in un incontro di emergenza sta per formalizzare la sospensione della Siria dall’organizzazione e prendere provvedimenti contro il regime. A Damasco è iniziata questa mattina la visita della delegazione di 500 osservatori della Lega. Su richiesta del governo siriano, assente dal vertice di Rabat, essi sono incaricati di esaminare la situazione sul terreno e coordinare l’applicazione del “Piano arabo per la pace”, sottoscritto il 2 novembre. Per dare un segnale di collaborazione, il regime ha rilasciato ieri 1180 prigionieri politici.
Secondo il principe Turki al-Faisal, ex capo dei servizi segreti sauditi, è evidente che Assad non vuole fermare le violenze, opponendosi a tutte le richieste di riforma del Paese. “A queste condizioni - ha sottolineato - le proteste contro il governo aumenteranno di intensità e gli uccisi saranno all’ordine del giorno. Prima o poi Assad si dovrà dimettere in un modo o nell’altro”.
Nonostante le pressioni della comunità internazionale, le truppe del regime hanno ucciso ieri 70 civili nella città di Deraa. Secondo cifre Onu il totale delle vittime ammonta a 3500, di queste 300 solo nel mese di novembre. Faisal sottolinea che se si protrarrà la situazione di violenza, non è da escludere un intervento al Consiglio di sicurezza Onu, per dare il via a un’operazione di protezione dei civili stile Libia.
Molti analisti fanno notare che gli scontri fra forze di sicurezza e oppositori hanno ormai assunto le caratteristiche di una vera e propria guerra civile. Le continue defezioni all’interno dell’esercito siriano hanno dato vita in ottobre al Free Syrian Army, gruppo paramilitare addestrato in Turchia, composto da oltre 10mila uomini. Secondo fonti locali l’Fsa avrebbe già compiuto numerose operazioni di sabotaggio, fra cui l’attacco di oggi contro una base militare di Harasta.
Lo scenario siriano è però molto differente da quello libico. A tutt’oggi in Siria non esiste un’opposizione unita, sul modello del Consiglio nazionale di transizione di Bengasi, in grado di prendere decisioni e guidare il Paese. Gli oppositori del regime sono divisi sul piano tattico e ideologico. I gruppi estremisti premono per un intervento armato, mentre le formazioni moderate auspicano ancora per una soluzione politica guidata dalla comunità internazionale. Gli stessi nemici di Assad temono un improvviso vuoto di potere, giudicato più pericoloso della repressione continua del regime. Una vera e propria guerra civile, anche con il sostegno della Nato, potrebbe uscire dai confini e aumentare ancora di più le vittime civili, destabilizzando tutto il Medio oriente.
Intanto, a Rabat (Marocco) la Lega Araba in un incontro di emergenza sta per formalizzare la sospensione della Siria dall’organizzazione e prendere provvedimenti contro il regime. A Damasco è iniziata questa mattina la visita della delegazione di 500 osservatori della Lega. Su richiesta del governo siriano, assente dal vertice di Rabat, essi sono incaricati di esaminare la situazione sul terreno e coordinare l’applicazione del “Piano arabo per la pace”, sottoscritto il 2 novembre. Per dare un segnale di collaborazione, il regime ha rilasciato ieri 1180 prigionieri politici.
Secondo il principe Turki al-Faisal, ex capo dei servizi segreti sauditi, è evidente che Assad non vuole fermare le violenze, opponendosi a tutte le richieste di riforma del Paese. “A queste condizioni - ha sottolineato - le proteste contro il governo aumenteranno di intensità e gli uccisi saranno all’ordine del giorno. Prima o poi Assad si dovrà dimettere in un modo o nell’altro”.
Nonostante le pressioni della comunità internazionale, le truppe del regime hanno ucciso ieri 70 civili nella città di Deraa. Secondo cifre Onu il totale delle vittime ammonta a 3500, di queste 300 solo nel mese di novembre. Faisal sottolinea che se si protrarrà la situazione di violenza, non è da escludere un intervento al Consiglio di sicurezza Onu, per dare il via a un’operazione di protezione dei civili stile Libia.
Molti analisti fanno notare che gli scontri fra forze di sicurezza e oppositori hanno ormai assunto le caratteristiche di una vera e propria guerra civile. Le continue defezioni all’interno dell’esercito siriano hanno dato vita in ottobre al Free Syrian Army, gruppo paramilitare addestrato in Turchia, composto da oltre 10mila uomini. Secondo fonti locali l’Fsa avrebbe già compiuto numerose operazioni di sabotaggio, fra cui l’attacco di oggi contro una base militare di Harasta.
Lo scenario siriano è però molto differente da quello libico. A tutt’oggi in Siria non esiste un’opposizione unita, sul modello del Consiglio nazionale di transizione di Bengasi, in grado di prendere decisioni e guidare il Paese. Gli oppositori del regime sono divisi sul piano tattico e ideologico. I gruppi estremisti premono per un intervento armato, mentre le formazioni moderate auspicano ancora per una soluzione politica guidata dalla comunità internazionale. Gli stessi nemici di Assad temono un improvviso vuoto di potere, giudicato più pericoloso della repressione continua del regime. Una vera e propria guerra civile, anche con il sostegno della Nato, potrebbe uscire dai confini e aumentare ancora di più le vittime civili, destabilizzando tutto il Medio oriente.
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