Sinodo del Medio oriente vicino alla primavera araba
di Samir Khalil Samir
L’opinione pubblica internazionale teme che le rivolte dei giovani scivolino verso il fondamentalismo. Anche molte autorità religiose temono per la sorte dei cristiani. Il Sinodo del Medio oriente, celebrato pochi mesi prima della “rivoluzione dei gelsomini”, ha fatto emergere molti temi divenuti parole d’ordine dei movimenti giovanili arabi. Forse per ora vincerà l’islamismo, ma il mondo arabo sta cambiando e la Chiesa è impegnata in questo cambiamento.
Città del Vaticano (AsiaNews) – La comunità ecclesiale e quella internazionale guardano alla “primavera araba” come una cosa ambigua. Da una parte si vede il desiderio di democrazia, dignità lavoro, in amicizia e fraternità col mondo; dall’altra si ha paura che faccia scivolare tutto il Medio oriente e l’Africa del nord in una nuova edizione del fondamentalismo. Eppure, il Sinodo per le Chiese del Medio oriente, celebrato pochi mesi prima che scoppiasse questa “primavera”, aveva intuito alcune piste buone delle richieste dei giovani arabi.
Il movimento dei giovani che sta scuotendo il Medio oriente è una cosa buona. Esso è riuscito a far cadere alcuni dittatori e richiedevi continuo libertà, giustizia, dignità: su questo non vi è alcuna ambiguità. Nel caso dell’Egitto, per esempio, era molto chiara perfino la richiesta di laicità per lo Stato, guardando la religione come una cosa positiva, ma evitando che essa domini ogni aspetto sociale.
L’ambiguità è invece sulle prospettive, sul futuro. Il movimento dei giovani è pieno di desideri buoni, ma essi non hanno previsto i mezzi per realizzarli; non hanno chiaro la fase costruttiva.
In molti di questi Paesi (Egitto, Siria, Tunisia,…) il mondo islamista – spesso dormiente perché messo fuorilegge, ma attivo in altre forme o in modi sotterranei – è emerso con partiti ben organizzati. Questo crea paura fra i cristiani, ma anche fra i musulmani che non volevano una virata fondamentalista.
Egitto, Tunisia, Siria
A causa di ciò, nel caso dell’Egitto, i giovani hanno chiesto di spostare di un anno le votazioni. Ma questo è difficile: in un periodo così lungo, nessuno è pronto a governare, nemmeno i militari, per nulla preparati a questo. Così, si è giunti al compromesso di ritardare di almeno altri tre mesi le elezioni. La speranza è che per quella data altri partiti – oltre a quelli islamici – riescano ad organizzarsi. Ma il partito islamista guadagna terreno con tutti i mezzi.
Ad esempio, giorni fa con un pretesto, hanno accusato il miliardario copto Naguib Sawiris, il più rappresentativo dei cristiani, noto laicista e opponente del presidente Mubarak, proprietario di una televisione privata molto seguita. La sua tivu ha un programma di cartoni animati, molto popolare. In una sequenza, “Mickey e Minnie Mouse” sono apparsi vestiti da musulmani tradizionalisti: Mickey con una barba folta, e Minnie coperta da un niqab. I musulmani integralisti hanno preso a pretesto queste immagini per accusarlo di blasfemia. Perfino al Azhar si è scandalizzata e il risultato è che andrà sotto processo.
Io credo che con le prossime elezioni non sconfiggeremo gli islamisti. Il problema non sono i Fratelli musulmani, che si sono ammorbiditi (anche se forse è una tattica): i veri duri sono i salafiti, i più estremisti, che continuano ad attaccare le chiese a Imbaba, Muqattam, Minya,…
I partiti che hanno più possibilità di successo sono perciò il movimento islamista tradizionale e moderato, il nuovo fortissimo movimento islamista (salafita) e il vecchio partito di Mubarak. Penso perciò che non potremo liberarci dal movimento islamista, ma occorrerà conoscerli, controllarli, e magari fermarli, andando verso il progetto che avevano i giovani: uno Stato non confessionale, dove la religione non opprime. Del resto, se il governo diviene islamista in modo duro, penso che tutti i giovani si ribelleranno ancora.
Anche in Tunisia c’è la ripresa islamista, ma essi hanno una tradizione laicista, per cui è probabile che vi sarà una via islamica media. Da questo punto di vista, nella stampa araba si è parlato molto del modello turco.
In Siria, per ora il governo non vuol cedere, ma io penso che finirà per soccombere. La ribellione non è di per sé musulmana (meno forse ad Hama ); nel movimento dei giovani vi sono anche dei cristiani. Due, in particolare – fra cui Jean Antar - , sono fra i capi.
Possiamo dire che il movimento non è “islamista”, ma di matrice laica siriana. Penso perciò che la tradizione laica del Baath (il partito al potere) continuerà, forse mescolata con un po’ di islam. Ciò che i giovani rigettano del partito non è la laicità, ma il carattere poliziesco della società, la soppressione della dissidenza, le prigionie, le torture, ecc…
In Siria il controllo sociale è fortissimo. Il regime finora ha promesso tante cose, ma non ne ha attuata nessuna. Se fa concessioni importanti, forse il regime riuscirà a mantenersi. Ma se i giovani non accettano il compromesso, essi continueranno a combattere finché il regime di Assad crollerà.
I timori delle Chiese
Qual è stato l’atteggiamento delle Chiese finora? Per comprendere, dobbiamo vedere qual è la situazione dei cristiani in questi Paesi.
In Siria di fatto si vive una certa laicità positiva, dato che non si fa la minima distinzione fra musulmani e cristiani. Ad esempio, si costruisce un nuovo quartiere in una città e il governo prevede uno spazio per la moschea e uno per la chiesa; chiese e moschee non pagano tasse, acqua, elettricità. Vi sono addirittura ispettori di regione per l’insegnamento dell’arabo che sono cristiani! In Egitto, già insegnare l’arabo in una classe di media inferiore è proibito ai cristiani (perché l’arabo “è la lingua sacra del Corano”!). In Siria, la pratica del Ramadan è libera; la domenica gli uffici pubblici permettono ai cristiani di arrivare in ritardo al lavoro per dare loro la possibilità di andare a messa… Soprattutto, i cristiani non sono importunati per motivi della loro fede, né discriminati.
Molto di questo non esiste in Egitto. Si comprende allora che i cristiani di Siria, non essendo discriminati (a meno che non si mescolino direttamente nella politica), sono tranquilli. Hafez el Assad – il padre dell’attuale presidente Bechar - aveva perfino quattro consiglieri, dei quali due erano cristiani convinti, un greco-cattolico e uno greco-ortodosso.
A causa di tale situazione, i vescovi e le comunità cristiane in Siria frenano sul cambiamento di regime. Riconoscono le mancanze di libertà, la corruzione del governo, i privilegi dei militari, ma essendo una minoranza, sanno che non potranno mai prendere il potere. E siccome già ora hanno la possibilità di influenzare, non cercano qualcosa di più. Per questo motivo, la reazione dei cristiani in Siria è tollerante verso Bachar al-Assad, anche se si condannano gli aspetti inaccettabili.
Il Sinodo in sintonia con la primavera araba
Il Sinodo, celebrato nell’ottobre 2010, pochi mesi prima della “rivoluzione dei gelsomini”, ha fatto emergere alcuni temi, molto vicini alle richieste dei giovani. Per esempio ha sottolineato il valore della cittadinanza piena per i cristiani, un rifiuto del regime di “tolleranza”, che finiva per squalificare i cristiani come “cittadini di seconda classe”. La rivendicazione nuova di questo termine (muwatanah) implica non solo la richiesta di libertà religiosa, ma il diritto di partecipare al bene comune e all’impegno sociale alla pari con tutte le altre identità. Proprio questa rivendicazione nuova ha suscitato molto interesse e stupore anche fra i musulmani.
Nell’Istrumentum laboris e nei lavori dell’assemblea sinodale sono stati spesso citati valori quali la dignità di ogni persona, il diritto al lavoro, l’uguaglianza fra tutti, il rispetto delle libertà… Di fatto, tutto ciò mostra che vi è profonda sintonia fra i desideri dei giovani e le piste di impegno del Sinodo, al punto che qualcuno ha detto che il Sinodo ha influenzato tali movimenti.
Non credo possiamo dire questo, ma di fatto c’è da constatare tale sintonia.
In questi giorni stiamo scrivendo le bozze per il documento finale del Sinodo e questi valori vengono ripresi, soprattutto nella parte che tratta dei rapporti con l’islam. Non ci saranno molte allusioni esplicite alla primavera araba, perché il documento sarà pubblicato molto più in là (forse l’anno prossimo), ma è evidente la sintonia fra i desideri dei giovani e le nostre proposte.
Anche i cristiani ortodossi con i loro patriarchi, si sono espressi sulla primavera araba. Ad esempio, il patriarca Zakka Iwas, dei siro-ortodossi, si è rivolto al regime siriano, domenica 3 luglio, e ha ripreso i temi della ribellione – uguaglianza, diritti, lavoro, giustizia – ma non attaccando il regime. Ha chiesto a tutti di rinunciare ogni forma di violenza, di appoggiare la pace, la sicurezza e la stabilità e di adottare il linguaggio del dialogo. Ha aggiunto che la crescente richiesta di libertà e di autocoscienza sono fattori positivi che arricchiscono il multiculturalismo della Sira, garantendo la sua indipendenza e dignità, creando un atmosfera dove ognuno viva la libertà di espressione e di fede. Ha espresso infine il suo sostegno per la giustizia sociale, la supremazia della legge, la pace civile, l’unità e la coesistenza del popolo, sottolineando il suo rigetto del caos che distrugge la nazione.
In questo senso ha parlato anche il patriarca maronita Bechara Rai alla Roaco. I giornali hanno solo citato il suo timore che si instauri nel Medio oriente una serie di Stati confessionali . Ma egli ha parlato soprattutto dell’urgenza di attuare in Medio oriente i valori sociali di uguaglianza, dignità, giustizia, ecc..
In Egitto, l’anziano patriarca Shenouda è stato molto conservatore, ma i giovani egiziani sono scesi affianco del movimento di piazza Tahrir.
Guardando a tutto questo, non sarei così pessimista sull’atteggiamento della Chiesa, come se i cristiani fossero contrari alla primavera araba. Ciò che noi cristiani vorremmo è un regime nel senso di quello voluto dai giovani. Ma nello stesso tempo vorremmo anche un sistema che garantisca la sicurezza, e non una rivoluzione continua.
Anche se noi cristiani in Medio oriente siamo una piccolissima minoranza, meno del 2%, dobbiamo lo stesso gridare questi valori di uguaglianza, di giustizia, di parità, di dignità per gli stranieri, per i lavoratori. Questo fa parte della nostra missione, del nostro essere il lievito nella pasta. Non siamo per un partito o un altro, ma per un progetto sociale di cui le nostre società hanno estremo bisogno. Conoscendo e soffrendo la situazione, occorre realizzarlo passo dopo passo.
Il mondo arabo deve imparare la democrazia, la convivenza con chi è ha diverse opinioni o religione; il rispetto del più debole e del più povero; la distinzione fra religione e politica – senza per questo cadere nell’ateismo o nel disprezzo della religione –; trattare le donne alla pari con gli uomini e non considerarle come minorenni.
Come tanti paesi d’Oriente e d’Occidente, deve invece disimparare la corruzione e l’ingiustizia. Sono tutti elementi richiesti dai “ribelli” (come li chiamano i governi dittatoriali), cioè dai giovani per il cambiamento, ma anche che dall’etica musulmana e cristiana. Il Sinodo per il Medio oriente invita tutti a costruire insieme – musulmani, cristiani, ebrei, atei ecc. - una società più giusta e più umana, rispettosa della dignità di ogni persona.
Il movimento dei giovani che sta scuotendo il Medio oriente è una cosa buona. Esso è riuscito a far cadere alcuni dittatori e richiedevi continuo libertà, giustizia, dignità: su questo non vi è alcuna ambiguità. Nel caso dell’Egitto, per esempio, era molto chiara perfino la richiesta di laicità per lo Stato, guardando la religione come una cosa positiva, ma evitando che essa domini ogni aspetto sociale.
L’ambiguità è invece sulle prospettive, sul futuro. Il movimento dei giovani è pieno di desideri buoni, ma essi non hanno previsto i mezzi per realizzarli; non hanno chiaro la fase costruttiva.
In molti di questi Paesi (Egitto, Siria, Tunisia,…) il mondo islamista – spesso dormiente perché messo fuorilegge, ma attivo in altre forme o in modi sotterranei – è emerso con partiti ben organizzati. Questo crea paura fra i cristiani, ma anche fra i musulmani che non volevano una virata fondamentalista.
Egitto, Tunisia, Siria
A causa di ciò, nel caso dell’Egitto, i giovani hanno chiesto di spostare di un anno le votazioni. Ma questo è difficile: in un periodo così lungo, nessuno è pronto a governare, nemmeno i militari, per nulla preparati a questo. Così, si è giunti al compromesso di ritardare di almeno altri tre mesi le elezioni. La speranza è che per quella data altri partiti – oltre a quelli islamici – riescano ad organizzarsi. Ma il partito islamista guadagna terreno con tutti i mezzi.
Ad esempio, giorni fa con un pretesto, hanno accusato il miliardario copto Naguib Sawiris, il più rappresentativo dei cristiani, noto laicista e opponente del presidente Mubarak, proprietario di una televisione privata molto seguita. La sua tivu ha un programma di cartoni animati, molto popolare. In una sequenza, “Mickey e Minnie Mouse” sono apparsi vestiti da musulmani tradizionalisti: Mickey con una barba folta, e Minnie coperta da un niqab. I musulmani integralisti hanno preso a pretesto queste immagini per accusarlo di blasfemia. Perfino al Azhar si è scandalizzata e il risultato è che andrà sotto processo.
Io credo che con le prossime elezioni non sconfiggeremo gli islamisti. Il problema non sono i Fratelli musulmani, che si sono ammorbiditi (anche se forse è una tattica): i veri duri sono i salafiti, i più estremisti, che continuano ad attaccare le chiese a Imbaba, Muqattam, Minya,…
I partiti che hanno più possibilità di successo sono perciò il movimento islamista tradizionale e moderato, il nuovo fortissimo movimento islamista (salafita) e il vecchio partito di Mubarak. Penso perciò che non potremo liberarci dal movimento islamista, ma occorrerà conoscerli, controllarli, e magari fermarli, andando verso il progetto che avevano i giovani: uno Stato non confessionale, dove la religione non opprime. Del resto, se il governo diviene islamista in modo duro, penso che tutti i giovani si ribelleranno ancora.
Anche in Tunisia c’è la ripresa islamista, ma essi hanno una tradizione laicista, per cui è probabile che vi sarà una via islamica media. Da questo punto di vista, nella stampa araba si è parlato molto del modello turco.
In Siria, per ora il governo non vuol cedere, ma io penso che finirà per soccombere. La ribellione non è di per sé musulmana (meno forse ad Hama ); nel movimento dei giovani vi sono anche dei cristiani. Due, in particolare – fra cui Jean Antar - , sono fra i capi.
Possiamo dire che il movimento non è “islamista”, ma di matrice laica siriana. Penso perciò che la tradizione laica del Baath (il partito al potere) continuerà, forse mescolata con un po’ di islam. Ciò che i giovani rigettano del partito non è la laicità, ma il carattere poliziesco della società, la soppressione della dissidenza, le prigionie, le torture, ecc…
In Siria il controllo sociale è fortissimo. Il regime finora ha promesso tante cose, ma non ne ha attuata nessuna. Se fa concessioni importanti, forse il regime riuscirà a mantenersi. Ma se i giovani non accettano il compromesso, essi continueranno a combattere finché il regime di Assad crollerà.
I timori delle Chiese
Qual è stato l’atteggiamento delle Chiese finora? Per comprendere, dobbiamo vedere qual è la situazione dei cristiani in questi Paesi.
In Siria di fatto si vive una certa laicità positiva, dato che non si fa la minima distinzione fra musulmani e cristiani. Ad esempio, si costruisce un nuovo quartiere in una città e il governo prevede uno spazio per la moschea e uno per la chiesa; chiese e moschee non pagano tasse, acqua, elettricità. Vi sono addirittura ispettori di regione per l’insegnamento dell’arabo che sono cristiani! In Egitto, già insegnare l’arabo in una classe di media inferiore è proibito ai cristiani (perché l’arabo “è la lingua sacra del Corano”!). In Siria, la pratica del Ramadan è libera; la domenica gli uffici pubblici permettono ai cristiani di arrivare in ritardo al lavoro per dare loro la possibilità di andare a messa… Soprattutto, i cristiani non sono importunati per motivi della loro fede, né discriminati.
Molto di questo non esiste in Egitto. Si comprende allora che i cristiani di Siria, non essendo discriminati (a meno che non si mescolino direttamente nella politica), sono tranquilli. Hafez el Assad – il padre dell’attuale presidente Bechar - aveva perfino quattro consiglieri, dei quali due erano cristiani convinti, un greco-cattolico e uno greco-ortodosso.
A causa di tale situazione, i vescovi e le comunità cristiane in Siria frenano sul cambiamento di regime. Riconoscono le mancanze di libertà, la corruzione del governo, i privilegi dei militari, ma essendo una minoranza, sanno che non potranno mai prendere il potere. E siccome già ora hanno la possibilità di influenzare, non cercano qualcosa di più. Per questo motivo, la reazione dei cristiani in Siria è tollerante verso Bachar al-Assad, anche se si condannano gli aspetti inaccettabili.
Il Sinodo in sintonia con la primavera araba
Il Sinodo, celebrato nell’ottobre 2010, pochi mesi prima della “rivoluzione dei gelsomini”, ha fatto emergere alcuni temi, molto vicini alle richieste dei giovani. Per esempio ha sottolineato il valore della cittadinanza piena per i cristiani, un rifiuto del regime di “tolleranza”, che finiva per squalificare i cristiani come “cittadini di seconda classe”. La rivendicazione nuova di questo termine (muwatanah) implica non solo la richiesta di libertà religiosa, ma il diritto di partecipare al bene comune e all’impegno sociale alla pari con tutte le altre identità. Proprio questa rivendicazione nuova ha suscitato molto interesse e stupore anche fra i musulmani.
Nell’Istrumentum laboris e nei lavori dell’assemblea sinodale sono stati spesso citati valori quali la dignità di ogni persona, il diritto al lavoro, l’uguaglianza fra tutti, il rispetto delle libertà… Di fatto, tutto ciò mostra che vi è profonda sintonia fra i desideri dei giovani e le piste di impegno del Sinodo, al punto che qualcuno ha detto che il Sinodo ha influenzato tali movimenti.
Non credo possiamo dire questo, ma di fatto c’è da constatare tale sintonia.
In questi giorni stiamo scrivendo le bozze per il documento finale del Sinodo e questi valori vengono ripresi, soprattutto nella parte che tratta dei rapporti con l’islam. Non ci saranno molte allusioni esplicite alla primavera araba, perché il documento sarà pubblicato molto più in là (forse l’anno prossimo), ma è evidente la sintonia fra i desideri dei giovani e le nostre proposte.
Anche i cristiani ortodossi con i loro patriarchi, si sono espressi sulla primavera araba. Ad esempio, il patriarca Zakka Iwas, dei siro-ortodossi, si è rivolto al regime siriano, domenica 3 luglio, e ha ripreso i temi della ribellione – uguaglianza, diritti, lavoro, giustizia – ma non attaccando il regime. Ha chiesto a tutti di rinunciare ogni forma di violenza, di appoggiare la pace, la sicurezza e la stabilità e di adottare il linguaggio del dialogo. Ha aggiunto che la crescente richiesta di libertà e di autocoscienza sono fattori positivi che arricchiscono il multiculturalismo della Sira, garantendo la sua indipendenza e dignità, creando un atmosfera dove ognuno viva la libertà di espressione e di fede. Ha espresso infine il suo sostegno per la giustizia sociale, la supremazia della legge, la pace civile, l’unità e la coesistenza del popolo, sottolineando il suo rigetto del caos che distrugge la nazione.
In questo senso ha parlato anche il patriarca maronita Bechara Rai alla Roaco. I giornali hanno solo citato il suo timore che si instauri nel Medio oriente una serie di Stati confessionali . Ma egli ha parlato soprattutto dell’urgenza di attuare in Medio oriente i valori sociali di uguaglianza, dignità, giustizia, ecc..
In Egitto, l’anziano patriarca Shenouda è stato molto conservatore, ma i giovani egiziani sono scesi affianco del movimento di piazza Tahrir.
Guardando a tutto questo, non sarei così pessimista sull’atteggiamento della Chiesa, come se i cristiani fossero contrari alla primavera araba. Ciò che noi cristiani vorremmo è un regime nel senso di quello voluto dai giovani. Ma nello stesso tempo vorremmo anche un sistema che garantisca la sicurezza, e non una rivoluzione continua.
Anche se noi cristiani in Medio oriente siamo una piccolissima minoranza, meno del 2%, dobbiamo lo stesso gridare questi valori di uguaglianza, di giustizia, di parità, di dignità per gli stranieri, per i lavoratori. Questo fa parte della nostra missione, del nostro essere il lievito nella pasta. Non siamo per un partito o un altro, ma per un progetto sociale di cui le nostre società hanno estremo bisogno. Conoscendo e soffrendo la situazione, occorre realizzarlo passo dopo passo.
Il mondo arabo deve imparare la democrazia, la convivenza con chi è ha diverse opinioni o religione; il rispetto del più debole e del più povero; la distinzione fra religione e politica – senza per questo cadere nell’ateismo o nel disprezzo della religione –; trattare le donne alla pari con gli uomini e non considerarle come minorenni.
Come tanti paesi d’Oriente e d’Occidente, deve invece disimparare la corruzione e l’ingiustizia. Sono tutti elementi richiesti dai “ribelli” (come li chiamano i governi dittatoriali), cioè dai giovani per il cambiamento, ma anche che dall’etica musulmana e cristiana. Il Sinodo per il Medio oriente invita tutti a costruire insieme – musulmani, cristiani, ebrei, atei ecc. - una società più giusta e più umana, rispettosa della dignità di ogni persona.
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