Sinodo Amazzonia: non ridurre il prete a distributore di sacramenti
“Quasi sei milioni di indigeni sono andati via semplicemente per sopravvivere. Senza contare quelli che sono stati massacrati per lo sfruttamento della terra o le attività estrattive minerarie. In Amazzonia ci sono 35 multinazionali che lavorano senza controllo e senza autorizzazioni”.
Città del Vaticano (AsiaNews) – I problemi legati alla scarsità di sacerdoti continuano a essere presenti nei lavori del Sinodo per l’Amazzonia: si continua infatti a parlare di ordinazione di uomini sposati, e se qualcuno chiede il diaconato femminile, forte è l’accento sulla necessità della formazione permanente. Viva anche la denuncia delle violenze sulle persone e la natura, accompagnata dalla richiesta di interventi della Chiesa e della comunità internazionale.
Sulla questione ministeri nella Chiesa, il discorso resta puntato sulla scarsa presenza di sacerdoti. In proposito, la sintesi dei lavori della Radio vaticana ha sostenuto che “Sotto l’azione dello Spirito, cum Petrus e sub Petrus, la Chiesa è dunque spronata ad una conversione in un’ottica amazzonica e ad intraprendere senza paura un discernimento e una riflessione sul tema del sacerdozio, prestando ascolto anche all’ipotesi di ordinare persone sposate, senza mai annacquare il valore del celibato. Bisogna infatti tenere sempre presente il dramma delle popolazioni che non possono celebrare l’eucarestia per la mancanza di presbiteri o che ricevono il Corpo di Cristo solo una o due volte l’anno. Suggerita una riflessione su un eventuale aggiornamento della Lettera Apostolica Ministeria Quaedam di Paolo VI (sui ministeri laicali, ndr). Proposta anche l’introduzione di diaconi e diacone permanenti indigeni che attraverso il ministero della Parola aiutino il popolo locale a comprendere meglio i Testi Sacri”.
In proposito, al quotidiano briefing sui lavori, oggi mons. Carlo Verzeletti, vescovo di Castanhal, in Brasile ha detto che “non possiamo ridurre il prete ad un distributore di sacramenti poche volte l’anno”, visto che “i preti devono correre da una parte all’altra, e possono incontrare le comunità al massimo 4-5 volte l’anno. Non hanno il tempo di seguire la vita del popolo, di stare in mezzo alla gente, di offrire una vera cura pastorale”. Per questo serve, ha sostenuto, “ordinare uomini sposati per il ministero sacerdotale, affinché l’Eucaristia sia una realtà vicina alle nostre comunità e le persone possano essere accompagnate”. “Quando parlo di ordinazione sacerdotale di uomini sposati – ha aggiunto – non penso a sacerdoti di seconda categoria, ma a persone preparate che abbiano una vita esemplare”.
Oggi in aula è stato anche affermato che di fronte della sensibile diminuzione di comunità religiose, le congregazioni religiose dovrebbero sforzarsi di recuperare l’entusiasmo missionario. Al contempo occorre offrire una formazione costante e cammini di catecumenato imperniati non solo su libri di studio, ma sull’esperienza sul campo a diretto contatto con la cultura locale.
Una denuncia del dramma che stanno vivendo i popoli della regione è venuta da mons. José Ángel Divassón Cilveti, già vicario apostolico di Puerto Ayacucho e vescovo titolare di Bamaccora. Intervenuto al briefing, ha affermato che nnlla regione panamazzonica “quasi sei milioni di indigeni sono andati via semplicemente per sopravvivere. Senza contare quelli che sono stati massacrati per lo sfruttamento della terra o le attività estrattive minerarie. In Amazzonia ci sono 35 multinazionali che lavorano senza controllo e senza autorizzazioni”. Di qui l’importanza di cercare “cammini comuni”, come vuole fare il Sinodo, in una prospettiva di “dialogo interculturale”. Come quello intessuto dai salesiani con il popolo indigeno degli Yanomani, ha raccontato il vescovo: “Abbiamo condiviso la vita delle comunità, senza pretendere di dire loro cosa fare: non come colonialisti, ma con rispetto e nella consapevolezza che sono loro a dover tenere le redini del proprio destino”.
E José Gregorio Díaz Mirabal, presidente del Congresso delle organizzazioni indigene amazzoniche, ha aggiunto: “siamo i martiri dell’Amazzonia”. “Siamo i popoli chiamati a cercare alleanze per proteggere la nostra vita. Quello che sta succedendo ora in Ecuador può essere applicato a tutto il bacino amazzonico”. “Speriamo che quello che succede in Ecuador incoraggi i nostri fratelli venezuelani”, ha proseguito: “Sembra che il mondo stia fuggendo da alcune frontiere per andare verso altre frontiere. Sono tante le sfide che noi popoli indigeni dobbiamo affrontare in Amazzonia, dobbiamo cercare alleanze: per questo siamo qui al Sinodo”.