Shanghai, lo sciopero alla HiP continua senza sosta
Gli operai tengono duro da una settimana. Chiedono protezione sindacale e si oppongono a un trasferimento coatto della fabbrica. Il governo non sa più come prendere le tensioni sociali e punta il dito contro “la crisi mondiale”, invitando nel contempo le aziende a divenire “più competitive”.
Shanghai (AsiaNews) - Continua oramai da una settimana lo sciopero di centinaia di operai di una fabbrica di Shanghai. La fabbrica è di proprietà dell’azienda elettrica di Singapore “Hi-P International”, che lavora in subappalto per Apple e Hewlett Packard. I colloqui con la direzione sono falliti, e i lavoratori hanno annunciato la loro intenzione di rimanere con le braccia incrociate.
Gli operai sono entrati in sciopero lo scorso 30 novembre per protestare contro l’annuncio del licenziamento di circa 1.000 operai a fronte della decisione dell’azienda di trasferire la produzione in un’altra città. Dopo o primi due giorni, la direzione ha proposto di mettere a disposizione dei lavoratori un bus per il trasferimento, ma questo non è bastato.
Uno dei dipendenti spiega: “Lavoriamo come bestie, a volte per turni di 20 ore. Anche se ci porta un pullman, la nuova fabbrica è sempre a un’ora e mezza di distanza da qui. Tra andata e ritorno, non avremmo tempo di riposare praticamente mai”. Inoltre, aggiunge, “molti di noi lavorano qui da tanti anni. Se vogliono rompere il contratto ci devono risarcire”.
Il calo della domanda di beni da importare in Europa e Stati Uniti – diretta conseguenza della crisi mondiale in atto – colpisce in maniera sempre più dura la Cina, “fabbrica del mondo”. Aumentano nel contempo le proteste dei lavoratori contro il governo e gli industriali, che fra corruzione e negazione dei diritti dei lavoratori fanno calare i salari e aumentare il tasso di disoccupazione.
Il governo cerca di limitare i danni accusando sempre qualcun altro. Durante una visita ufficiale nella provincia nord-orientale di Liaoning, il vice premier Wang Qishan ha spiegato: “La situazione grave e complessa dell’economia mondiale si tradurrà inevitabilmente in una domanda mondiale insufficiente”. Wang ha quindi invitato le imprese a rafforzare la loro competitività, promettendo in futuro sgravi fiscali alle aziende dell’export.
Anche il ministro del Commercio ha evidenziato le ripercussioni del rallentamento mondiale sulla crescita cinese: “A causa della contrazione dell’economia internazionale e del mercato internazionale, la crescita economica della Cina l’anno prossimo potrebbe subire un limitato rallentamento”.
La Cina ha annunciato lo scorso primo dicembre il primo calo della sua produzione manifatturiera degli ultimi due anni e mezzo, all’indomani della decisione della Banca centrale di ridurre le riserve obbligatorie prudenziali a carico della banche commerciali. Un mossa che implica una facilitazione dell’erogazione di credito a imprese e famiglie, e che segna un'inversione di rotta rispetto alle manovre di inasprimento che Pechino stava portando avanti fino a solo poche settimane fa.
A ottobre, le esportazioni cinesi verso l’Unione europea sono state pari a 28,74 miliardi di dollari, contro i 31,61 miliardi di settembre. Diminuite anche quelle verso gli Stati Uniti, pari a 28,6 miliardi di dollari contro i 30,11 miliardi di dollari di settembre. Il governo teme ora che questo trend possa continuare, scatenando disoccupazione e nuove proteste sociali.
Gli operai sono entrati in sciopero lo scorso 30 novembre per protestare contro l’annuncio del licenziamento di circa 1.000 operai a fronte della decisione dell’azienda di trasferire la produzione in un’altra città. Dopo o primi due giorni, la direzione ha proposto di mettere a disposizione dei lavoratori un bus per il trasferimento, ma questo non è bastato.
Uno dei dipendenti spiega: “Lavoriamo come bestie, a volte per turni di 20 ore. Anche se ci porta un pullman, la nuova fabbrica è sempre a un’ora e mezza di distanza da qui. Tra andata e ritorno, non avremmo tempo di riposare praticamente mai”. Inoltre, aggiunge, “molti di noi lavorano qui da tanti anni. Se vogliono rompere il contratto ci devono risarcire”.
Il calo della domanda di beni da importare in Europa e Stati Uniti – diretta conseguenza della crisi mondiale in atto – colpisce in maniera sempre più dura la Cina, “fabbrica del mondo”. Aumentano nel contempo le proteste dei lavoratori contro il governo e gli industriali, che fra corruzione e negazione dei diritti dei lavoratori fanno calare i salari e aumentare il tasso di disoccupazione.
Il governo cerca di limitare i danni accusando sempre qualcun altro. Durante una visita ufficiale nella provincia nord-orientale di Liaoning, il vice premier Wang Qishan ha spiegato: “La situazione grave e complessa dell’economia mondiale si tradurrà inevitabilmente in una domanda mondiale insufficiente”. Wang ha quindi invitato le imprese a rafforzare la loro competitività, promettendo in futuro sgravi fiscali alle aziende dell’export.
Anche il ministro del Commercio ha evidenziato le ripercussioni del rallentamento mondiale sulla crescita cinese: “A causa della contrazione dell’economia internazionale e del mercato internazionale, la crescita economica della Cina l’anno prossimo potrebbe subire un limitato rallentamento”.
La Cina ha annunciato lo scorso primo dicembre il primo calo della sua produzione manifatturiera degli ultimi due anni e mezzo, all’indomani della decisione della Banca centrale di ridurre le riserve obbligatorie prudenziali a carico della banche commerciali. Un mossa che implica una facilitazione dell’erogazione di credito a imprese e famiglie, e che segna un'inversione di rotta rispetto alle manovre di inasprimento che Pechino stava portando avanti fino a solo poche settimane fa.
A ottobre, le esportazioni cinesi verso l’Unione europea sono state pari a 28,74 miliardi di dollari, contro i 31,61 miliardi di settembre. Diminuite anche quelle verso gli Stati Uniti, pari a 28,6 miliardi di dollari contro i 30,11 miliardi di dollari di settembre. Il governo teme ora che questo trend possa continuare, scatenando disoccupazione e nuove proteste sociali.
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