10/01/2024, 13.30
MYANMAR - CINA
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Shan: i combattimenti al confine cinese svelano la vastità del business delle truffe online

di Steve Suwannarat

Secondo le milizie etniche che hanno lanciato l'offensiva nella regione, si tratta di un giro di affari che vale 14 miliardi di dollari all'anno e che è controllato da quattro clan cinesi insieme alla giunta golpista birmana. Pechino di recente ha chiesto ai militari di chiudere i call center in cui circa 100mila persone sarebbero trattenute in condizioni di moderna schiavitù.

Yangon (AsiaNews) - Con lo svilupparsi dell’offensiva lanciata lo scorso ottobre dalle milizie etniche in aree a ridosso del confine cinese, vanno chiarendosi le dimensioni dell’industria delle truffe online. Si tratta di un business ha posto radici in Myanmar grazie al sostegno dei generali, che il primo febbraio 2021 hanno condotto un colpo di Stato. Il controllo sulla regione Kokang è diventato ancora più difficile per i militari dall’inizio del conflitto civile.

Secondo Peng Deren, comandante dell’Esercito dell’alleanza nazionale democratica del Myanmar (Myanmar National Democratic Alliance Army), che coordina le forze di tre gruppi tribali dello Stato Shan settentrionale, il giro di affari si avvale di un gran numero di individui costretti a lavorare in condizioni di moderna schiavitù in call center che hanno come bersaglio la popolazione cinese ma anche altri Paesi dell’Asia, inclusa la confinante Thailandia e lo stesso Myanmar. Il valore del business, ha spiegato Peng Dareng, si aggirerebbe intorno ai 14 miliardi di dollari all’anno ed è controllato da quattro clan cinesi in accordo con la giunta militare birmana che il primo febbraio 2021 ha condotto un colpo di Stato e dato avvio al conflitto civile.

Con la presa di Laukkai, città perlopiù abitata dall’etnia Kokang, sarebbe stata smantellata una rete che sarebbe arrivata a coinvolgere 100mila “schiavi”, di cui oltre 41mila sono stati espulsi lo scorso anno su richiesta di Pechino. Altri sono stati costretti nelle ultime settimane alla fuga dai combattimenti, ma secondo fonti della resistenza i responsabili del network criminale sono stati evacuati con elicotteri dell’esercito birmano prima della caduta della città e della resa di centinaia di soldati.

Una conferma indiretta dell’estensione di questo business illegale e della determinazione delle autorità cinesi di sradicarlo (anche esercitando una forte pressione sule autorità di Yangon, importante fornitore di materie prime oltre che partner commerciale di Pechino), è stata la recente comunicazione di almeno 70mila arresti all’interno della Repubblica popolare cinese.

Tra gli stranieri salvati dal racket, segnalano le autorità di Bangkok, ci sono anche più di 500 cittadini thailandesi, rimpatriati durante i combattimenti. Di questi, 174 sono sicuramente vittime del traffico di esseri umani al cui vertice sarebbero esponenti dei clan Bai, Wei e i due clan omologhi Liu, da lungo tempo in affari con i militari birmani. Dopo il loro ritorno al potere della giunta golpista, i quattro clan sono anche responsabili della ripresa su vasta scala della produzione di oppio che lo scorso anno ha riportato il Myanmar al primo posto nella classifica mondiale.

Per un regime in forti difficoltà sul piano militare, paria nei rapporti internazionali (con poche eccezioni), la difficile scelta che si pone è se accogliere le richieste cinesi di debellare un business lucroso, ma socialmente pericoloso, oppure di rischiare di peggiorare i rapporti con uno dei principali alleati internazionali insieme alla Russia.

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