Seoul in piazza per salvare i 33 nordcoreani fuggiti in Cina
Seoul (AsiaNews) - Deputati, studenti universitari, personalità religiose e per la prima volta anche alcuni attori scendono in piazza oggi a Seoul per chiedere alle autorità cinesi di non rimpatriare i 33 nordcoreani fuggiti dal regime di Kim Jong-un e al momento detenuti in un carcere di Changchun. La manifestazione si svolge davanti all'ambasciata di Pechino in Corea del Sud: la Cina deve decidere entro domani la sorte dei rifugiati.
I nordcoreani sono stati arrestati l'8 febbraio in diverse abitazioni di Changchun e al momento sono trattenuti in una prigione di questa città, nella Cina nordorientale. Secondo alcune fonti, al momento dell'arresto il gruppo stava cercando - con l'aiuto di un'organizzazione locale - di fuggire in Corea del Sud. Spesso il passaggio obbligato per attraversare le due Coree non è il confine tra i due Stati ma la fuga a nord.
Fra coloro che chiedono clemenza per il gruppo vi sono Cha In-pyo e Lee Seong-mi, entrambi noti attori sudcoreani. Il manager di Cha ha dichiarato al Daily NK: "Dopo un consulto notturno, il mio assistito ha deciso di recitare oggi un appello contro il rimpatrio dei nordcoreani. La recita avverrà davanti all'ambasciata cinese". Dal canto suo, Lee ha dichiarato: "Conosciamo bene il dolore dei rimpatriati: era impossibile per me non partecipare".
A loro si è unito Robert Park, missionario cristiano coreano con cittadinanza americana. In un appello pubblicato alcuni giorni fa, scrive: "Se tornano a casa rischiano la morte. Il governo di Seoul deve intervenire immediatamente, bloccare il rientro di queste persone e dare loro una casa".
La situazione per i 33 nordcoreani è di grande pericolo. A gennaio, il governo della Corea del Nord (temendo fughe di massa nella situazione di instabilità politica seguita alla morte di Kim Jong-il e alla successione del figlio Kim Jong-un) ha annunciato un inasprimento delle pene per chi lascia il Paese. I cittadini nordcoreani non possono lasciare il Paese senza un permesso ufficiale. Quelli che lo fanno, e sono sospettati di essere in contatto con organizzazioni collegate alla Corea del Sud, rischiano la condanna a morte.
La Cina, dal canto suo, considera tutte le persone che entrano irregolarmente dalla Corea del Nord alla stregua di migranti economici, non ponendosi il problema delle violazioni dei diritti umani che si verificano nel paese confinante e non prendendo in considerazione che tra queste persone possano esservi richiedenti asilo politico. Sebbene abbia sottoscritto la Convenzione delle Nazioni Unite sullo status di rifugiato, il governo di Pechino impedisce all'Alto commissariato Onu per i rifugiati (Unhcr) di avere contatti coi nordcoreani in territorio cinese.