Seoul, attivisti per i diritti umani protestano contro le espulsioni di lavoratori migranti
di Theresa Kim Hwa-young
Il governo ha rafforzato la politica di identificazione ed espulsione di quanti non sono in regola con il permesso di soggiorno. In sei mesi 17 mila immigrati hanno perso il lavoro e rischiano la cacciata dal Paese.
Seoul (AsiaNews) – Al grido “Minu libero! Fermate la repressione!”, una coalizione sud-coreana formata da 23 gruppi, tra cui il sindacato dei lavoratori migranti, ha manifestato davanti ai cancelli di un Centro di identificazione ed espulsione della provincia di Gyeonggi. A scatenare la protesta del 16 ottobre scorso, il caso del 33enne musicista e attivista culturale nepalese “Minu” – Minod Moktan, il vero nome – detenuto dal Servizio per l’immigrazione sud-coreano perché sprovvisto di documenti. Come lui, decine di migliaia di lavoratori immigrati sono finiti nel mirino del governo, che ha rafforzato la politica di espulsioni.
Analisti e osservatori dei diritti umani sottolineano l’urgenza di una revisione della politica di immigrazione; molti stranieri, infatti, hanno un lavoro regolare e sono parte integrante della società. Come Minu: egli è arrivato in Corea del Sud nel 1992 e ha lavorato come cameriere nei ristoranti e sarto in alcune fabbriche nell’area di Uijeongbu. Nel tempo ha promosso diverse campagne su questioni sociali, ha curato un documentario sui diritti dei lavoratori migranti e ha ricoperto l’incarico di capo del comitato esecutivo del Festival del cinema dei lavoratori migranti. Per il suo impegno ha ricevuto diversi premi e riconoscimenti; oggi rischia l’espulsione.
Già in passato – fra il 2007 e il 2008 – il governo ha compiuto arresti e deportazioni di lavoratori immigrati privi di documenti, alcuni dei quali hanno lavorato in maniera attiva nel sindacato dei migranti, organizzazione fondata e sostenuta dagli stessi immigrati. L’arresto di Minu sarebbe infatti legato alla sua ascesa all’interno del sindacato, nel quale ha assunto un incarico di primo piano.
Nel marzo scorso il presidente Lee Myung-bak ha promesso “tolleranza zero”, sottolineando che “i residenti illegali non dovrebbero andare in giro pavoneggiandosi”. Gli attivisti condannano queste affermazioni e si fanno forza delle parole del relatore speciale Onu sui diritti umani che ha denunciato le condizioni dei lavoratori migranti in Corea del Sud.
Secondo gli ultimi dati il numero delle detenzioni è passato da 20 mila all’anno sotto l’amministrazione Roh Moo-hyun, agli attuali 32 mila dall’ascesa al governo del conservatore Lee. Al luglio del 2009, circa 17 mila immigrati hanno perso il lavoro e sono già stati espulsi. A questo si aggiungono casi di violazione dei diritti umani, fra cui incidenti, morti e omicidi fra quanti sono rinchiusi nei Centri di identificazione ed espulsione sud-coreani.
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