Segnali contrastanti per il Libano e la pace in Medio Oriente
Beirut (AsiaNews) – Un nuovo rapporto relativo alla applicazione della risoluzione 1701 delle Nazioni Unite del 12 agosto 2006 – che ha messo fine alla catastrofica guerra lanciata da Israele contro Hezbollah, nel luglio dello stesso anno – è stato da poco pubblicato. Esso verrà discusso quest’oggi al Consiglio di sicurezza e fornisce una buona analisi sulla situazione attuale in Libano, dove i fattori di stabilità e di instabilità al momento si equivalgono.
I fattori di stabilità
Il rapporto Onu evidenzia che il clima politico libanese è migliorato nel corso degli ultimi mesi, grazie all’applicazione di tutte le indicazioni stabilite nell’accordo di Doha, nel maggio del 2008. Un accordo che appare sempre più come il frutto di un consenso internazionale, al quale la Francia di Nicolas Sarkozy – il cui premier François Fillon ha appena compiuto un viaggio in Libano – non è del tutto estranea.
Il rapporto rileva “un grado maggiore di stabilità” in Libano in seguito all’elezione del presidente Michel Sleiman, il 25 maggio scorso. Fra i fattori di stabilità si notano pure i “progressi considerevoli” registrati nelle relazioni fra il Libano con i suoi “vicini”, i quali hanno un legame diretto con l’applicazione della risoluzione 1701 delle Nazioni Unite.
Nel documento si sottolinea l’accordo del 15 ottobre scorso fra Libano e Siria che sancisce relazioni diplomatiche a livello ufficiale fra i due Paesi e il desiderio di lavorare insieme per risolvere alcune questioni in comune, tra cui la definizione delle frontiere. La nomina dei rispettivi ambasciatori dovrebbe avvenire entro la fine dell’anno.
Guardando al fronte interno libanese, tuttavia, lo stesso segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon resta “preoccupato” dal susseguirsi di incidenti nei campi profughi, pur dicendosi “incoraggiato” dai segnali positivi che arrivano in materia di sicurezza grazie alla collaborazione fra le autorità libanesi e la fazione palestinese; analoghe speranze derivano dagli sforzi messi in campo dall’Organizzazione per la liberazione della Palestina (Olp) per garantire il controllo dei campi profughi.
Nel rapporto si allude, in maniera nemmeno troppo velata, alla caccia agli elementi salafiti appartenenti all’organizzazione Fateh el-Islam, appoggiata da Damasco e dai gruppi palestinesi che gravitano nella sua orbita. La partecipazione di questi ultimi aggiunge, tuttavia, un elemento di ambiguità all’analisi, nella misura in cui Damasco e la Corrente del Futuro, in Libano, si accusino in maniera reciproca di alimentare alleanze segrete con questo gruppuscolo. Si potrebbe aggiungere al rapporto un ultimo fattore di stabilità regionale: i dialoghi indiretti di pace fra Israele e Siria, sotto l’egida della Turchia.
Gli elementi di incertezza
Mostrando poi gli elementi preoccupanti, il rapporto, cita la situazione politica in Israele, che pare avviato verso le elezioni anticipate, in programma il 10 febbraio 2009. Esso costituisce un “fattore di incertezza” – sottolinea il rapporto – con una allusione appena accennata alla paventata ascesa al potere di Benjamin Netanyahu, leader del Likud, un “falco” della destra israeliana.
Altro “elemento di tensione” citato dal rapporto, la continua occupazione di una parte del villaggio di Ghajar da parte di Israele, che Hezbollah rievoca in continuazione a riprova che un accordo per via diplomatica della questione è illusorio e che la resistenza armata è pienamente giustificata.
Negli ambienti diplomatici americani, dove si auspicava che la restituzione di Ghajar fosse presa come un regalo al governo di Fouad Sinora, si deplora l’irremovibilità di Israele sulla questione. Peraltro le relazioni malsane che continuano a intrattenere i regimi siriano e saudita devono, allo stesso modo, essere considerati come una fonte di tensione non indifferente. L’accordo di Doha, che ha permesso l’elezione del presidente libanese, non ha cambiato in meglio queste relazioni.
In un quadro generale in cui i fattori di stabilità combattono con quelli di incertezza e tensione, emergono diverse incognite. Esse sono legate alle scadenze elettorali in Libano (le elezioni politiche del maggio 2009) e in Iran (le elezioni presidenziali, in calendario il 12 giugno 2009); bisogna mettere in conto anche i nuovi orientamenti che la nuova amministrazione americana potrebbe prendere sul Medio Oriente, soprattutto sulla creazione di uno Stato palestinese e la presenza militare in Iraq. Ma queste nuove direttive non si concretizzeranno prima dell’insediamento della nuova Amministrazione Usa nel gennaio 2009.
L’ipotesi più minacciosa fra quelle sul piatto è l’ascesa al potere della frangia fondamentalista in Israele, Iran e Libano, dove Hezbollah continua a mantenere, malgrado l’ostilità di almeno la metà della popolazione, una sostanziosa capacità militare, separata da quella dello stato libanese, e dove il “dialogo nazionale” in corso non sembra aver sortito altro effetto che quello di scongiurare una guerra civile fra sunniti e sciiti, che si profilava all’orizzonte nel maggio scorso.
Un invito a imitare la Siria e a intavolare colloqui indiretti con Israele è stata lanciato di recente da David Miliband, Ministro britannico degli esteri, in visita a Beirut. Al momento la proposta resta però pura fantascienza.