29/08/2023, 12.47
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Se Washington frena, i sauditi guardano a Pechino nella corsa al nucleare

Sulle centrali atomiche si apre un nuovo fronte di contrapposizione fra Cina e Stati Uniti nella regione mediorientale. Infastiditi dai tentennamenti Usa, i vertici di Riyadh si rivolgono sempre più spesso al gigante asiatico. Sullo sfondo gli “Accordi di Abramo” e le resistenze israeliane. La “profonda valenza politica” delle trattative sul nucleare. 

Riyadh (AsiaNews) - La corsa al nucleare lanciata dall’Arabia Saudita per differenziare le fonti energetiche apre un nuovo fronte di contrapposizione fra Cina e Stati Uniti, nella sfida sempre più aperta per l’influenza economica, diplomatica e militare nella regione mediorientale. Da qualche giorno circola infatti notizia che dalle parti di Riyadh stiano valutando con molta attenzione - e interesse - la proposta avanzata da Pechino e finalizzata alla costruzione della prima centrale atomica del Paese, come riferito dal Wall Street Journal (Wsj). Il progetto si inserisce all’interno del piano “Vision 2030” elaborato dal principe ereditario Mohammad bin Salman (Mbs) per riformare la vita economica e sociale del Paese, ma rischia di creare più di un malumore a Washington che non vorrebbe vedere sviluppare armi nucleari dal regno wahhabita.

Secondo il quotidiano economico Usa il colosso di Stato China National Nuclear Corp (Cnnc) ha proposto un progetto per realizzare una centrale nella zona orientale, non lontano dal confine con il Qatar e gli Emirati Arabi Uniti (Eau). Funzionari sauditi interpellati dal Wsj riferiscono che i negoziati fra Riyadh e Pechino potrebbero spingere la Casa Bianca a scendere a compromessi sui principi di non-proliferazione nucleare che hanno sinora bloccato un accordo con gli Usa. Tuttavia, bin Salman è altrettanto pronto a spingere sull’acceleratore con la Cina se le trattative con l’alleato (ex?) oltreoceano dovessero fallire. Un’apertura è arrivata anche, seppur in via informale, da Pechino dove un portavoce del ministero degli Esteri ha affermato in conferenza stampa: “La Cina continuerà a condurre una cooperazione reciprocamente vantaggiosa con l’Arabia Saudita in vari campi, tra cui l’energia nucleare civile, rispettando rigorosamente gli obblighi internazionali di non proliferazione”.

In passato Riyadh ha bussato alle porte degli Stati Uniti per avviare una collaborazione sul nucleare civile, come elemento di scambio nella possibile normalizzazione dei legami con Israele - i due Paesi non hanno relazioni diplomatiche ufficiali - nel novero degli “Accordi di Abramo”. Tuttavia, i timori espressi dagli Usa - e dall’alleato israeliano, unica potenza nucleare nella regione e interessata a mantenere la leadership - sulla possibile fabbricazione di armi atomiche, unita alla deriva bellica dell’uso del nucleare, hanno congelato le ambizioni saudite. 

Diverso il discorso per la Cina, che non dipende dagli obblighi di non proliferazione e nell’ultimo anno ha rafforzato i propri legami con i Paesi del Golfo, a partire proprio dall’Arabia Saudita di cui ha favorito un riavvicinamento con il nemico storico nella regione, l’Iran. Pechino risulta anche essere il maggior acquirente del greggio di Riyadh, che resta il principale produttore mondiale. Di contro, il regno wahhabita è il più importante cliente degli Stati Uniti in tema di armamenti e i due Paesi intrattengono da tempo rapporti stretti, sebbene negli ultimi anni si sia registrato un raffreddamento soprattutto sul versante americano dopo l’uccisione del giornalista Jamal Khashoggi. I sauditi continuano a chiedere garanzie a Washington nel processo di normalizzazione con Israele; ciononostante, gli Usa non appaiono propensi a concessioni sul nucleare e, così facendo, spalancano le porte alla Cina per trasformarsi da spettatore interessato e partner chiave.

Non solo Cina, perché Riyadh guarda con attenzione anche a Russia e Francia per lo sviluppo della tecnologia nucleare nel tentativo di superare le resistenze degli Stati Uniti. La decisione finale dovrebbe basarsi sull’offerta migliore a livello economico e sul piano tecnologico, settore in cui gli Usa mantengono ancora una leadership e per questo risulterebbero più graditi ai vertici del regno. Inoltre, l’energia nucleare si va affermando anche in un Medio oriente ricco di petrolio e gas quale fonte di produzione negli anni a venire, tanto nella regione quanto nel mondo. 

Analisti ed esperti in Occidente invitano Washington a non abbandonare la competizione e di non vincolare la collaborazione a una sottoscrizione degli “Accordi di Abramo”. Sia perché il nucleare risulta strategico nell’ambito della “Vision 2030”, sia per evitare di concedere campo libero a Pechino (o Mosca). Sull’argomento è intervenuto nei giorni scorsi il consigliere per la sicurezza nazionale Usa Jake Sullivan, annunciando che l’amministrazione del presidente Joe Biden chiederà all’Agenzia internazionale per l'energia atomica (Aiea) un parere sulla cooperazione nucleare Riyadh. La risposta dell’agenzia potrebbe risultare di primaria importanza per decisioni future: “Ci sono ancora alcune strade da percorrere” ha detto Sullivan, lasciando aperta la porta a una qualsiasi forma di accordo fra sauditi e Israele.

Tornando infine sul fronte cinese, vale qui ricordare il progressivo avvicinamento fra il colosso asiatico e il Paese culla dell’islam sunnita, per nulla scalfito dalle denunce di violazioni e abusi contro i musulmani uiguri nello Xinjiang. La scorsa settimana Pechino ha sostenuto con forza l’invito ai sauditi di ingresso nel gruppo di economie emergenti a conclusione dell’ultimo summit Brics che si è tenuto in Sud Africa. L’anno scorso Riyadh ha ospitato il presidente cinese Xi Jinping per un vertice del Golfo e mesi dopo Pechino ha mediato un riavvicinamento tra il regno e la Repubblica islamica. “Gli accordi per i reattori nucleari sono a lungo termine e lucrativi” spiega su al-Monitor l’analista economico Jack Dutton, oltre ad avere una “profonda valenza politica”.

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