Scioperi e proteste: il lavoro in Cina cambia volto
Pechino (AsiaNews) – Circa 250 operai di una fabbrica Honda di Foshan hanno lanciato ieri uno sciopero teso a ottenere paghe migliori e straordinari più alti. I manifestanti dicono di essere stati ispirati dalle due settimane di sciopero dei loro colleghi del settore manifatturiero, che sono riusciti a ottenere un aumento di circa 500 yuan. Nel frattempo, un gruppo di operai dell’Hubei ha occupato la fabbrica in cui lavorano, che è andata in bancarotta fraudolenta: chiedono di ottenere il proprio stipendio. E gli analisti cinesi avvertono: è in corso “un profondo cambiamento del mondo del lavoro”.
Lo sciopero di ieri è iniziato di prima mattina. Un gruppetto di operai ha fatto un picchetto davanti alla fabbrica Honda di Chancheng, convincendo più di 250 colleghi a non entrare. I lavoratori chiedono, oltre all’aumento salariale, anche la rimozione del proprio rappresentante sindacale. Questi, dicono, fa parte della dirigenza della fabbrica e quindi non può fare il sindacalista. Un dipendente di 22 anni non ha apprezzato il gesto: “Sono stato costretto a lavorare di più, senza corrispettivo extra, per colpa dello sciopero”. Un portavoce della fabbrica sostiene a riguardo che “la produzione non può essere interrotta per nessun motivo”.
Il direttore dell’Istituto per le relazioni sul lavoro dell’Università Renmin, Chang Kai si è costituito in maniera volontaria consulente legale dei lavoratori. Secondo il docente, l’attuale modello lavorativo del delta del Fiume delle perle, che di fatto si basa sul lavoro sotto-pagato, “deve essere cambiato. Il livello attuale delle paghe non è ragionevole, e gli operai non possono essere lasciati per sempre fuori dalla prosperità economica che nasce dal loro lavoro. Prima o poi la situazione potrebbe esplodere”.
Secondo Chang, inoltre, la fabbrica potrebbe alzare i salari del 34% a tutti i lavoratori perdendo in cambio meno del 5% del proprio profitto: “Sarebbe molto meno costoso che subire i frutti di nuovi scioperi , che potrebbero paralizzare la produzione in qualunque momento”. Secondo Liu Kaiming, attivista sindacale indipendente di Shenzhen, questa previsione è molto corretta: “Le dispute sul lavoro sono aumentate nella zona in maniera esponenziale. Negli ultimi cinque anni sono arrivate a circa 10mila all’anno”.
Da quattro settimane, il governativo Quotidiano del Popolo pubblica interventi a favore di un miglioramento della condizione di vita degli operai. Secondo gli analisti, si tratta di una mossa disperata di Pechino, che cerca di scaricare esclusivamente sugli industriali (e sulla loro fame di denaro) le condizioni disumane all’interno delle fabbriche. In ogni caso, scrive il South China Morning Post, “è finito il tempo delle noccioline come paga degli operai”.
In un editoriale apparso oggi sul quotidiano di Hong Kong, quello che sta avvenendo in Cina “è quanto temevano da tempo gli industriali di tutto il mondo, da Tokyo a New York: i lavoratori vogliono un aumento. Sono finiti i tempi in cui centinaia di milioni di operai erano pronti a massacrarsi per un dollaro o due al giorno, e l’economia globale non sarà più la stessa. Quella della Honda è soltanto l’avanguardia di una nuova rivoluzione”.