Santa Sede: solidarietà internazionale verso i rifugiati iracheni
Città del Vaticano (AsiaNews) - Ci vuole una “guida vigorosa” da parte della comunità internazionale per trovare un’uscita alla crisi irachena, che si ripercuote sull’intero Medio Oriente: se la “sfida più grande è trovare una strada per la riconciliazione” urge anche un immediato impegno per affrontare il dramma dei milioni di rifugiati – tra i quali ci sono cristiani e persone di altre minoranze religiose - e, nell’attesa del loro possibile rientro in patria, dare sostegno anche ai Paesi che li ospitano. E’ quanto sostenuto da mons. Silvano M. Tomasi, osservatore permanente della Santa Sede presso l’ufficio delle Nazioni Unite ed istituzioni specializzate a Ginevra, nel quadro della conferenza internazionale convocata a Ginevra dall'Alto commissariato dell'Onu per i rifugiati per rispondere alle necessità degli sfollati e dei rifugiati iracheni.
Osservando che in Iraq “sembra più facile morire che vivere”, il diplomatico vaticano ha affermato che “il mondo è testimone di un livello senza precedenti di odio e distruzione in Iraq” e che il fenomeno si ripercuote profondamente sull’intera regione. Le innumerevoli forme di violenza che colpiscono anche civili indifesi, ha proseguito, confermano l’appassionato appello che Giovanni Paolo II lanciò il 16 marzo del 2003 per mettere in guardia contro “le tremende conseguenze che un’operazione militare potrebbe avere per la popolazione dell’Iraq e per l’equilibrio del Medio Oriente, già dolorosamente provato, e per gli estremismi che ne potrebbero venire”.
“Il massiccio sradicamento e spostamento della popolazione irachena – ha detto poi mons. Tomasi – sta ora certo provocando terribili conseguenze. I numeri parlano: circa due milioni di iracheni sono profughi interni ed altri due milioni hanno abbandonato il Paese, mentre ogni mese tra 40 e 50mila persone abbandonano le loro case”.
Il rappresentane vaticano ha lodato l’accoglienza “molto generosa” offerta da Giordania e Siria, ma, ha osservato, problemi economici, sociali e di sicurezza stanno mettendo a dura prova la volontà di accoglienza. Ciò rende urgente la necessità che la comunità internazionale assuma le proprie responsabilità ed offra il necessario aiuto. “Dove guerra e violenza hanno distrutto il tessuto sociale e l’unità dell’Iraq, accorte scelte politiche ed un impegno umanitario non discriminatorio possono essere il primo passo per ristabilire una pluralistica unità”.
In una regione che fin dal 1948 conosce il problema dei profughi palestinesi ci sono categorie particolarmente colpite, come le donne e i bambini. Ci sono bambini iracheni che vanno in esilio per avere “una quotidiana esperienza di incertezza, privazioni, mancanza di istruzione e duro lavoro per ottenere il minimo necessario all’umana sopravvivenza”. “Cristiani ed altre minoranze religiose che sono stati oggetto di espulsioni forzate e di pulizia etnica da parte di gruppi radicali si trovano in un limbo nel loro temporaneo luogo di rifugio, visto che non possono tornare a casa e non hanno la possibilità di essere integrati o ricollocati”. La sofferenza di tante vittime chiede una risposta “pronta, coordinata, effettiva e generosa”. E se ovviamente il ristabilimento della pace è l’obiettivo principale, i Paesi che offrono una risposta umanitaria “debbono ricevere una tangibile e pronta solidarietà”.
26/11/2018 08:13