Russia e Cina rispondono ad Amnesty: non vendiamo armi al Sudan
I ministeri degli Esteri di Mosca e Pechino hanno rigettato le accuse dell’organizzazione internazionale, sottolineando il loro rispetto per le decisioni Onu. La Cina conferma l’invio di ingegneri militari in Darfur per fermare il genocidio.
Pechino (AsiaNews) – Le armi russe “non sono in Darfur”, mentre la Cina “ha sempre mantenuto un approccio responsabile alla vendita di arsenale bellico, trattando con gli Stati e non con i singoli o le organizzazioni”. E’ questa la risposta di Mosca e Pechino ad Amnesty International, che ieri ha accusato i due governi di vendere armi al Sudan per continuare il genocidio in atto nel Darfur.
Un comunicato del ministero russo degli Esteri rilasciato nella serata di ieri afferma che “l’esercito nazionale coopera con le altre nazioni sempre e soltanto in linea con le leggi internazionali. Abbiamo rispettato il bando sulla vendita delle armi al Sudan, emanato dalle Nazioni Unite nel 2005”.
Stessa linea per Jiang Yu, portavoce del dicastero cinese, che ha definito le accuse “infondate” ed ha ricordato “il rispetto del Paese per le decisioni Onu. Pechino non vende armi a chi è sottoposto ad embargo”.
Secondo il rapporto presentato ieri da Amnesty, invece, le armi russe e cinesi sarebbero state inviate nel Paese africano e ritirate direttamente dai membri della milizia Janjaweed, protetta dal governo di Omar Hassan el Beshir, “padre-padrone” del Sudan. Per leggere il testo completo del rapporto, clicca qui.
L’ambasciatore sudanese presso le Nazioni Unite, Abdel Mahmood Abdel Haleem, ha definito le accuse “una bugia, illazioni senza base né fondamento”. Amnesty ha presentato nel suo rapporto anche diverse fotografie che ritraggono le forze aree militari locali mentre scaricano armi che, afferma il gruppo, provengono da Russia e Cina, “entrambi membri permanenti del Consiglio di Sicurezza Onu”.
Il massacro del Darfur, in corso da quattro anni, ha causato la morte di oltre 200mila persone. Le milizie Janjaweed sono accusate di aver costretto alla fuga o ucciso decine di migliaia di abitanti del Darfur per motivi etnici.
Per cercare di fermare la strage, l’Onu ha proposto un piano di pace multinazionale a cui ha aderito ieri anche Pechino. Nel corso della stessa conferenza stampa in cui ha rigettato le accuse di Amnesty, infatti, la portavoce Yu ha confermato che “invierà nella regione degli ingegneri militari, nell’ambito dell’operazione Onu, per cercare di fermare il genocidio”.
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