01/06/2013, 00.00
NEPAL - ARABIA SAUDITA
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Riyadh costringe i migranti nepalesi a lasciare il Paese

di Kalpit Parajuli
L'ultimatum del governo saudita scadrà il 3 luglio. Preoccupate le autorità di Kathmandu per il rientro improvviso di 120mila lavoratori emigrati. Gli esperti: "Se il governo non riesce a generare posti lavoro, il Paese rischia fame e povertà".

Kathmandu (AsiaNews) - I lavoratori migranti illegali provenienti dal Nepal avranno tempo fino al 3 luglio per lasciare l'Arabia Saudita. Si prevede che l'ultimatum, rilasciato il 10 maggio scorso dalle autorità di Riyadh, costringerà circa 120mila nepalesi a rientrare in patria. Il governo nepalese tenta di trattare la loro espulsione.

Da Kathmandu, il ministro degli Esteri, Arjun Karki, definisce la situazione 'preoccupante' e ha dichiarato che "le autorità nepalesi stanno tentando di persuadere il governo saudita a riconsiderare la posizione dei migranti". L'improvviso rientro in patria dei 120mila lavoratori presenti nel regno, rischierebbe di far sprofondare il Paese himalayano in un baratro di fame e povertà. Binod KC, direttore generale del Dipartimento per l'occupazione estera in Nepal, ha spiegato che "si tratta di un serio problema e che non è realistico pensare che questa enorme manodopera possa essere assorbita dall'industria locale".

Secondo alcuni esperti la sovrabbondanza di forza lavoro rischia di trascinare il Nepal in una dura crisi sociale ed economica, se si considera anche la totale dipendenza di molte famiglie dai contributi economici mensili dei lavoratori emigrati. Al momento, se ne contano più di 400mila tra Malaysia, Qatar e Arabia Saudita.

Nel regno saudita, due dei nove milioni di immigrati sono assunti in modo illegale. Nel giugno del 2011, il ministro del Lavoro di Riyadh ha lanciato una campagna di 'saudizzazione' del Paese volta ad agevolare l'assunzione di giovani arabi, rimpiazzando una piccola percentuale di forza lavoro straniera. Anche il Qatar, secondo dopo la Malaysia per presenza di immigrati nepalesi, ha attuato una severa politica nei confronti dei lavoratori illegali, arrestandoli e mandandoli nei campi di lavoro forzato.

 

 

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